Le violente contestazioni e gli atti di vandalismo in atto nelle università del Sudafrica sono una reazione alle disuguaglianze sociali ereditate dall’apartheid. Così mons. William Slattery, arcivescovo di Pretoria e portavoce della Conferenza episcopale sudafricana (Sacbc) commenta i disordini a ripetizione che continuano a verificarsi in diversi atenei del Paese, dopo le proteste studentesche dello scorso autunno contro l’aumento delle tasse scolastiche.
Il mondo accademico ancora dominato dalla cultura bianca
La settimana scorsa Mafikeng, città del nord-ovest del Sudafrica, la polizia è dovuta
intervenire con gas lacrimogeni contro gli studenti della locale università, che hanno
messo a ferro e a fuoco l'edificio per degli accesissimi contrasti con colleghi rappresentanti
del Consiglio degli studenti. Contestazioni e disordini sono all’ordine del giorno
anche in altre sedi universitarie, comprese quelle più prestigiose, come la University
of the Free State a Bloemfontein, l’Università di Città del Capo e quella di Pretoria.
Uno dei motivi ricorrenti delle proteste è l’uso esclusivo nelle università dell’afrikaans,
lingua associata al passato regime segregazionista. Tra gli studenti neri sudafricani
- spiega mons. Slattery all’agenzia Cns - vi è la diffusa sensazione che le loro lingue
materne siano discriminate, confermando l’impressione di “un razzismo istituzionalizzato
non ancora superato nel Paese, ancora dominato da una cultura bianca”.
La risposta della politica finora debole
Per l’arcivescovo di Pretoria, questa disuguaglianza, che ha alimentato negli anni
le frustrazioni dei giovani sudafricani sfociate nelle proteste dell’anno scorso,
“deve essere risolta in tutto il Paese”. La risposta delle forze politiche - osserva
– è stata finora debole, anche se adesso sembra che ci sia il tentativo di recuperare
il terreno perduto. (L.Z.)
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