Secondo le stime ISTAT, nel 2015, si è verificato un calo della disoccupazione
di 0,8 punti percentuali, poiché il tasso di disoccupazione è passato dal 12,7% dell’anno
precedente all’11,9%. Per quanto riguarda il numero degli inattivi, per gli uomini
si registra una diminuzione pari a -2,1% mentre per le donne risulta un +0,3%. Maria
Laura Serpico ha intervistato Paolo Garonna, professore
di Economia Politica all’Università LUISS Guido Carli e Segretario Generale della
Federazione delle Banche delle Assicurazioni e della Finanza (FeBAF), nonché ex Direttore
Generale dell’ISTAT:
R. – C’è una ripresa in atto, nell’economia italiana,
nell’economia europea in generale: questo si riflette sul miglioramento dei dati occupazionali.
C’è poi l’effetto dei provvedimenti del governo – il jobs act – che ha determinato
sicuramente un cambiamento degli incentivi sui versanti degli sgravi contributivi
e della flessibilizzazione dei contratti di lavoro – il contratto a tutela crescente
– e questo sicuramente ha avuto un impatto in questo miglioramento tendenziale.
D. – L’occupazione è cresciuta di un +0,8 per cento;
nonostante il dato positivo, l’Italia continua a rimanere intorno allo “0,”: la ripresa
economica è ancora lontana?
R. – Gli ultimi dati di previsione tendono a rivedere
verso il basso le stime della crescita: quindi, una ripresa che c’è ma che tende in
qualche modo ad affievolirsi. Noi ci auguriamo, invece, che un po’ per i provvedimenti
del governo un po’ per la ripresa della fiducia, si consolidi la crescita e quindi
si possano realizzare ulteriori miglioramenti nel mercato del lavoro.
D. – Perché sussiste ancora, una forte disparità tra
uomini e donne, nell’occupazione?
R. – Bè, questa è una disparità strutturale che dipende
da tanti fattori e che è un ritardo storico che si manifesta soprattutto nell’economia
italiana e in altri Paesi europei – non nei Paesi, per esempio, del Nord dell’Europa.
Quindi, è chiaro che la ripresa occupazionale tende anzitutto a favorire le componenti
cosiddette “forti” del mercato e quindi le componenti maschili; deve consolidarsi
per poter dar modo poi anche all’occupazione femminile di riflettere il miglioramento.
Occorre sottolineare, dal punto di vista qualitativo, che la ripresa dell’occupazione
è una ripresa di buona occupazione, perché è occupazione non soltanto nei servizi
ma anche nell’industria, è un’occupazione dei lavoratori a tempo indeterminato e quindi
dal tempo “determinato”, dal lavoro precario si va verso il lavoro stabile. E quindi,
credo che – da questo punto di vista – ci sia non soltanto un miglioramento di quantità,
ma anche di qualità. I dati dell’occupazione femminile, però, ancora stentano a riprendersi.
D. – Quali sono le previsioni per il 2016?
R. – Premetto che le previsioni, in questo momento,
sono tutte in fase di revisione, e purtroppo di revisione al ribasso. Abbiamo visto
le grandi agenzie internazionali e quindi bisogna prenderle con una certa cautela.
Però, ecco, sicuramente il prossimo anno vedrà un miglioramento del dato della crescita:
nello scorso anno avevamo avuto una crescita del +0,8, quest’anno dovremmo avere una
crescita sicuramente migliore. Le prime stime parlavano di 1,6, adesso sono state
riviste a +1,4, alcuni però le pongono ancora a meno. Però, con il miglioramento della
crescita anche l’occupazione dovrebbe migliorare: abbiamo avuto già un netto miglioramento
del tasso di disoccupazione, che oggi è intorno all’11,5 e che potrebbe migliorare
ancora e scendere verso l’11. Resta un tasso di disoccupazione assolutamente ancora
molto elevato, e certamente un tasso di disoccupazione che prospetta problemi seri
per le famiglie e per le imprese: non dimentichiamoci che per quanto vi sia stata
una ripresa nei Paesi dell’Ocse, noi abbiamo ancora 8 milioni di disoccupati in più
rispetto all’inizio della crisi. Questo è un problema enorme, è un problema che richiede
non soltanto politiche congiunturali per la crescita e per il miglioramento del funzionamento
del mercato del lavoro, ma richiede un impegno strutturale di medio e lungo termine
sugli investimenti, sugli investimenti di lungo termine in Italia e in Europa, perché
nelle altre parti del mondo – come negli Stati Uniti – i dati sono certamente migliori.
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