2016-03-10 16:07:00

Giovane ucciso a Roma Parsi: contrastare orrore con i valori


Il caso del ragazzo seviziato e ucciso a Roma da altri due giovani sotto effetto della droga e in cerca di emozioni forti continua ad interrogare le coscienze e ad interpellare le responsabilità di chi potrebbe intervenire per correggere tali devianze, per evitare che la trasgressione più spinta diventi ordinaria e per prevenire crimini fisici e morali contro la persona. Roberta Gisotti ha intervistato Maria Rita Parsi, psicoterapeuta, membro del Comitato Onu per i diritti del fanciullo:

R. – Dott.ssa Parsi, partiamo dalle coscienze: possiamo rimuovere un delitto tanto disumano come ‘affare di altri’?

D. – Direi proprio di no! Ahimè, costantemente l’informazione ci porta ad affrontare situazioni sempre più drammatiche e scabrose, anche sul piano della voglia di provare emozioni forti, emozioni insolite, emozioni assolutamente inaccettabili dal punto di vista non solo della salute fisica, ma anche della salute mentale delle persone. Noi dobbiamo interrogarci in questa occasione anzitutto ricordando che questi ragazzi escono da famiglie e da ambienti che poi predispongono anche ad una serie di situazioni di questo genere, perché evidentemente il malessere è qualcosa che trabocca da tempo nelle loro vite e nelle loro esperienze; magari hanno anche lanciato segnali, magari c’era già stato qualcosa che non andava bene ed era stato notato, ma evidentemente non è stato accolto, perché situazioni così gravi non si determinano mai all’improvviso, ma sono l’effetto di storie che si sedimentano nel tempo. E poi c’è tutto il discorso dei mezzi di comunicazione di massa: facciamo un giro sulle reti televisive e guardiamo quante trasmissioni non fanno che parlare di crimini, killer, assassini, film dell’orrore… Io credo che quando un vuoto affettivo ed educativo accoglie anche queste immagini costanti e continue e queste sollecitazioni, diventa un’arma terribile!

D. – E veniamo alla responsabilità anche delle istituzioni: sappiamo che ci sono a Roma numerosi locali della trasgressione più spinta. Basta dire che sono ‘club privati’ perché nessuno intervenga per chiuderli o almeno controllarli?

R. – Sì, questi privé, questi ambienti favoriscono queste possibilità che però sono nella società: queste ricerche di azzerare l’angoscia di morte, agendola attraverso una sessualità che non risponde all’affettività, ma risponde alla brutalità, alla violenza, all’atteggiamento estremo, è una modalità che sta prendendo piede. Sono persone che hanno una angoscia devastante, talmente forte, con la quale agiscono contro se stessi e contro gli altri: sono persone pericolosissime! Pericolose tanto quanto sono i kamikaze dell’Is o le persone che uccidono e tagliano la testa agli altri. Sono estreme modalità di entrare in contatto con l’angoscia di morte, che è qualcosa che noi dovremmo affrontare veramente per tutta la vita e la si deve affrontare in varie maniere: la si deve affrontare con l’amore, perché morire è un evento che fa parte della vita delle persone e che le persone devono elaborare per tutta la vita di accettare che avvenga. Quindi se noi non ci misuriamo - una volta per tutte – con l’angoscia primaria, che è l’angoscia di essere nati e poi di crescere e dover morire, io credo che soluzione non ci sia. E laddove non c’è amore, non c’è bellezza, non c’è cura, non c’è terapia, non c’è educazione, prevale il contatto diretto con la morte che può essere veicolato da forme estreme di violenza, da forme estreme anche di assunzioni di qualcosa che mette in condizione di non aver paura della morte, anzi di dare la morte e di darsela.

D. – Allora bisogna denunciare che i media e anche tanti luoghi fisici favoriscono queste azioni…

R. – Assolutamente! Qui si pone il problema delle libertà individuali se una persona può essere libera di fare questo e lo fa è adulta, consenziente ... Io credo che la lotta stia proprio in questo: noi dobbiamo fare in modo che – tra virgolette – il male non solo venga contenuto, ma non sia messo in condizioni di esserci. E non è una utopia! Si deve fare una battaglia di prevenzione: sì, possiamo fare una legge per controllare questi locali maggiormente, per chiuderli addirittura, per far sì che sicuramente i minori non ci vadano, ma esistono! Allora o facciamo i conti con quello che esiste e come possiamo sconfiggerlo culturalmente, umanamente, legalmente, o altrimenti continuerà ad esserci. E’ tutto un sistema che va abbattuto con un sistema di valori diverso. E’ quello che noi dobbiamo – attraverso i mezzi di comunicazione di massa, la scuola, dando sostegno alle famiglie, agendo culturalmente – combattere. Perché quei luoghi si chiudono se nessuno ci va! O altrimenti le persone troveranno sempre la maniera: se non lo fanno nei privé, lo faranno a casa di qualcuno; se non lo faranno con la droga, lo faranno con l’alcol, lo faranno con Internet. Allora reprimere si può - anzi si deve! – però la repressione funziona come un incentivo al ripetersi di questi atti se dietro non c’è prevenzione, educazione, formazione, cultura. Noi dobbiamo spingere per queste azioni di bene, perché da sole queste realtà contrastino l’orrore.

 








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