2016-03-14 08:23:00

A Ginevra da oggi le speranze di pace per la Siria


La crisi siriana al centro dei colloqui che iniziano oggi a Ginevra. Presenti rappresentanti del governo e parte dell’opposizione, con la questione del futuro ruolo del presidente Assad ancora irrisolta. L’Onu, che ha promosso i negoziati, già stila una lista di impegni concreti per guardare al futuro del Paese. Da Ginevra, Stefano Marchi:

I negoziati per la pace in Siria dovrebbero ricominciare oggi a Ginevra ma paiono ancora precari, nonostante la tregua in vigore nel Paese da oltre due settimane. Un aereo militare governativo è stato abbattuto sabato da un gruppo ribelle. Fino ad allora, il cessate il fuoco era in sostanza rispettato dai due maggiori avversari nella guerra civile siriana, ossia il Governo del Presidente Al Assad, e l’opposizione detta moderata, rappresentata, in modo incompleto, dall’Alto Comitato Negoziale. Almeno all’inizio, questi saranno i soli partecipanti alle trattative di Ginevra, peraltro indirette. Medierà l’inviato delle Nazioni Unite, De Mistura. Gli obiettivi dei negoziati, sanciti dall’ONU, sono:

- Entro sei mesi, un nuovo Governo siriano “inclusivo”, con pieni poteri, che comprenda esponenti dell’opposizione e del regime di Al Assad.

- Poi, una nuova Costituzione.

- Infine, entro diciotto mesi, libere elezioni, parlamentari e presidenziali, cui partecipino i profughi.

L’opposizione ha detto che andrà alle trattative senza più precondizioni, ma l’Arabia Saudita, che la sostiene, esige ancora le immediate dimissioni di Al Assad. L’attuale Governo siriano ha avvertito che a Ginevra non parlerà di Al Assad, e che l’ONU non prevede elezioni presidenziali durante i negoziati. Da questi sono esclusi, al momento, i Curdi di Siria, per pressioni turche, e altri gruppi d’opposizione, per volontà saudita.

E sugli importanti obiettivi dell’Onu per questi colloqui di pace di Ginevra, Giancarlo La Vella ha raccolto il commento di Lorenzo Trombetta, dell’Ansa di Beirut:

R. – Da un punto di vista militare, sicuramente sembra prematuro. Certamente è uno sguardo che guarda molto lontano, e che sembra non tener conto di tutta una serie di ostacoli che ci sono sul terreno e che ci saranno anche a livello diplomatico.

D. – Nel novero degli argomenti esposti dall’Onu manca la questione Stato Islamico…

R. – Perché la questione dello Stato Islamico, nella narrativa dell’Onu, e in generale in quella degli Stati Uniti e della Russia, è una questione quasi disgiunta da quella della lotta per il potere in Siria. Come se la guerra all’Is fosse rubricata nella grande questione della guerra al terrorismo jihadista, come se non avesse nulla a che fare con le violenze in corso in Siria dal 2011. Quando poi sappiamo che l’Is arriva in Siria e in Iraq in un contesto fortemente dominato dalla violenza, dal vuoto di potere istituzionale locale. E quindi la sua presenza è strettamente legata, e quindi anche la lotta all’Is, alla questione della lotta per il potere in Siria. Questa, secondo me, è una delle contraddizioni nella teoria del processo di pace in Siria, per cui la lotta all’Is è una cosa e prosegue su un binario, mentre la lotta invece tra il cosiddetto regime e opposizioni siriane è un’altra questione.

D. – Le parti sembrano più concentrate su quello che potrà essere il ruolo del Presidente Assad…

R. – Questa è una questione sollevata sin dal 2011 dalle opposizioni siriane. Il governo cerca di spostare l’attenzione, invece, parlando di una lotta al terrorismo come “priorità” cercando di riportare l’attenzione sul fatto che la Siria non è una guerra tra chi vuole Assad e chi non lo vuole, quanto invece è una lotta tra chi non è veramente siriano e chi invece vuole il ristabilirsi della sicurezza e della stabilità. Al di là di questo, sappiamo che la lotta per il potere in Siria passa per il futuro personale, politico, di Bashar al-Assad.

D. – Un’altra cosa che sembra mancare dall’elenco degli argomenti in discussione è la soluzione del problema umanitario: dopo cinque anni di guerra la popolazione siriana è allo stremo. Sei d’accordo su questo?

R. – Assolutamente. Anche in questo caso la questione umanitaria non può essere disgiunta da quella politico-militare. La questione umanitaria è effetto di tutto questo groviglio. Quindi continuare ad occuparsi principalmente, come fanno molti Paesi della Regione e anche i Paesi occidentali, di portare aiuti o di come questi ultimi possono arrivare nelle regioni assediate, è come mettere un cerotto su una ferita molto ampia. Ma se non si va alle radici del conflitto che causa questa ferita, continueremo ad investire e a metter soldi su un conflitto che continuerà, perché da altre parti arriveranno armi, direzioni politiche, per cui l’uno o l’altro attore locale dovrà continuare a gestire il territorio usando le armi. 








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