2016-03-17 13:17:00

A Bangkok megaprocesso per sfruttamento di esseri umani


E’ iniziato a Bangkok il più imponente processo di sempre contro la tratta degli esseri umani. La magistratura thailandese giudica oltre 90 persone, tra cui diversi personaggi eccellenti, per aver organizzato un racket finalizzato allo sfruttamento e alla riduzione in schiavitù di migliaia di migranti provenienti soprattutto dalle aree dell’etnia rohingya in Myanmar. Decine i corpi senza vita non identificabili rinvenuti in fosse comuni al confine con la Malaysia. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Stefano Vecchia, raggiunto telefonicamente a Bangkok:

R. - La Thailandia è da anni al centro di un traffico che fa convergere su questo Paese immigrati illegali, profughi dalle aree limitrofe: dalla Cina, dalla Corea del Nord, ma anche dal Laos, dalla Cambogia e dal Myanmar. E di conseguenza il governo di Bangkok ha deciso, a partire dallo scorso anno, di correre in qualche modo ai ripari. L’anno scorso, davanti alla scoperta di fosse comuni al confine tra la Thailandia e la Malaysia, il governo di Bangkok ha deciso di chiudere le coste a questo flusso. Di conseguenza, questi migranti sono rimasti per settimane in balìa del mare, fino a che la Malaysia  e l’Indonesia non hanno poi deciso di accoglierli provvisoriamente.

D. – Con questa iniziativa giudiziaria, possiamo dire che la Thailandia in qualche modo si pone in linea con la lotta alla tratta degli esseri umani che l’Onu, ma anche gran parte della comunità internazionale, porta avanti da tempo?

R. – Per quanto riguarda i profughi, qui in Thailandia ne restano alcune migliaia: parliamo soprattutto dei rifugiati dalla Birmania. Il problema è che la Thailandia non è firmataria della Convenzione Onu per i rifugiati, quindi, questi ultimi sono considerati illegali. Questo vale per loro, come anche per i cristiani in fuga dal Pakistan, per i nord-coreani in fuga dal regime di Pyongyang o per i musulmani uiguri che fuggono dalla Cina. Quindi sono sempre sotto la minaccia o dell’incarcerazione o dell’espulsione coatta verso i Paesi di provenienza. Quindi il problema è serio e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che ha accettato di prendersi cura di questi gruppi di profughi, può soltanto garantire un mantenimento sul costo, ma non garantirne la sicurezza davanti alle autorità thailandesi.

D. – A che cosa vanno incontro? Qual è il destino di questi fuggiaschi?

R. – Loro cercano la fuga perché sono perseguitati nei loro Paesi di provenienza. La Thailandia era un punto di transito fondamentale sulle rotte, in parte marittime e poi via terra. Ora il problema è che, quando arrivavano in Thailandia, venivano presi in carico da emissari di questi traffici transnazionali e rinchiusi nei campi di raccolta, dove, in parte, venivano trattenuti per il tempo necessario al loro passaggio in altri Paesi, oppure in parte venivano trattenuti dietro richiesta di riscatto alle famiglie in patria. Poi, se il riscatto non era pagato, in molti casi purtroppo venivano uccisi, come dimostrano gli almeno 139 corpi ritrovati nelle fosse comuni presso i Campi provvisori al confine tra la Thailandia e la Malaysia. 








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