La Fondazione pontificia "Aiuto alla Chiesa che Soffre" costruisce una nuova Chiesa dedicata a San Giuseppe a Vélingara, nel Sud del Senegal, Paese africano a stragrande maggioranza musulmana. Oggi viene inaugurato il campanile. Il direttore della fondazione, Alessandro Monteduro, ha spiegato a Maria Laura Serpico la scelta di festeggiare San Giuseppe con questo nuovo progetto:
R. – Agli italiani, a quei benefattori che ci hanno chiesto di celebrare San Giuseppe
quest’anno in un modo tutto particolare, cioè anche attraverso un segno tangibile,
noi abbiamo proposto di farlo in Senegal, provando a realizzare tutti assieme un campanile,
il campanile della Chiesa di San Giuseppe a Vélingara, questa piccola cittadina del
Sud del Senegal. Cosa c’è di più bello, di più straordinariamente evidente riguardo
alla presenza cristiana, di un campanile?
D. – Perché avete scelto di costruire questa chiesa
proprio nel Sud del Senegal?
R. – Ci è giunta questa richiesta dal parroco locale:
“Abbiamo bisogno della generosità dei benefattori di ‘Aiuto alla Chiesa che soffre’
per poter finalmente disporre anche noi di un luogo di preghiera”. Quale momento migliore,
intitolando la stessa chiesa a San Giuseppe, se non appunto in occasione della ricorrenza
dello stesso San Giuseppe?
D. – Quanto è importante avere un luogo fisico in
cui pregare?
R. – Noi siamo abituati a disporre di un luogo fisico
presso cui pregare. Proviamo a immaginare la difficoltà di chi continua, nonostante
persecuzioni, discriminazioni ma anche situazioni di mera povertà, di mera sofferenza
materiale, pensiamo alla sofferenza aggiuntiva di chi, pur essendo cristiano, nostro
fratello nella fede, non ha un luogo di preghiera in cui ritrovarsi … Non possiamo
rispondere a questa domanda se non capiamo fino in fondo che ci sono centinaia di
migliaia di cristiani nel mondo che preferiscono, pur di rimanere cristiani, lasciare
le proprie case, lasciare tutto ciò di cui dispongono, i propri possedimenti materiali,
per non vedere violata e violentata la loro fede, le loro radici, la loro identità!
Ecco perché è essenziale il luogo di preghiera. Lo è per noi e noi ci siamo sostanzialmente
abituati, noi italiani, noi occidentali; per loro è probabilmente un cibo importante,
quasi quanto o forse più importante di quello strettamente materiale. Del resto, non
di solo pane vive l’uomo …
D. – A oggi, quante chiese sono state edificate con
il vostro aiuto?
R. – Consideri che “Aiuto alla Chiesa che soffre”
ha 69 anni di vita, quindi forse è impossibile darle una risposta certa, compiuta.
Le posso dire che ogni anno realizziamo o restauriamo – quindi operiamo interventi
di edilizia religiosa – per circa 2.500 interventi; consideri che noi accompagniamo
agli aiuti umanitari alle comunità cristiane la nostra caratteristica – che fa di
“Aiuto alla Chiesa che soffre” effettivamente una Fondazione totalmente diversa dalle
altre che si dedicano alla carità – che è quella degli interventi pastorali. Ovviamente,
tra gli interventi pastorali non può non esserci la costruzione o il restauro di chiese,
cappelle o seminari. Il 43% dei fondi raccolti nel solo 2014 da “Aiuto alla Chiesa
che soffre” nel mondo – 105 milioni di euro, quindi non stiamo parlando di cifre irrilevanti
– noi abbiamo deciso di destinarlo appunto all’edilizia religiosa. Mi piace ricordare
due esempi velocissimi, due interventi strutturali straordinari: Egitto, Komboa, piccolo
villaggio. Lì ci sono ancora 1.500 famiglie cristiane. Non hanno alcun luogo di preghiera
presso il quale ritrovarsi. Consideri che per pregare si ritrovano di fronte a una
croce disegnata sul muro oppure in un piccolo stanzino privato. Dal vescovo della
diocesi locale ci è arrivato l’appello: “Regalateci un luogo di preghiera”. Straordinaria
la reazione dei benefattori italiani. Angola, 25 anni di guerra civile, distrutte
tutte le chiese. La guerra civile si conclude nel 2002; oggi, dopo 15 anni, in Angola
sono state aperte ben sei Porte Sante. Di queste sei Porte Sante, cinque – posso dirlo
– si devono all’affetto, all’attenzione, alla generosità, alla vicinanza di “Aiuto
alla Chiesa che soffre”, ma soprattutto ai suoi benefattori e alle sue benefattrici
nel mondo. Questo è “Aiuto alla Chiesa che soffre”; per questo ci dedichiamo con particolare
trasporto e coinvolgimento alla costruzione delle chiese.
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