2016-03-21 14:44:00

Giornata delle vittime di mafia. Il ricordo di don Diana


Circa 350 mila i partecipanti oggi, secondo "Libera", alle manifestazioni in tutta Italia per la 21.ma Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie. In simultanea, in 1.000 luoghi sparsi della Penisola la lettura dei circa 900 nomi degli innocenti uccisi dalla criminalità organizzata. Tra loro c’era don Peppe Diana, la cui vita fu brutalmente stroncata dalla camorra 22 anni fa in chiesa a Casal Di Principe. Come ha segnato quel fatto la vita della comunità locale?  Fabio Colagrande lo ha chiesto a don Paolo dell'Aversana, parroco del Santuario della Madonna di Briano, tra i firmatari con don Diana del documento "Per amore del mio popolo":

R. – Diciamo che ha segnato la storia della Chiesa, in questo territorio, come ha segnato la storia delle nostre comunità. Dovremmo anche dire che l’ha segnata poi positivamente, perché da quella morte è nato un seme capace di portare frutti buoni. Perché da quella morte è nata anzitutto una consapevolezza diversa, nuova, della realtà in cui si viveva e quindi della necessità anche di reagire a quella situazione. Da quella morte sono nate tante associazioni che continuano nel suo nome a portare frutti di legalità in tutto il territorio.

D. – Cosa resta ancora da fare?

R. – Resta da continuare un impegno di denuncia, sempre, ma soprattutto – secondo me – resta da continuare su quella formazione delle coscienze che porta giorno dopo giorno a fare scelte di campo che siano sempre di fedeltà alla giustizia e alla legalità.

D. – Il documento a cui lei appose la sua firma, “Per amore del mio popolo”, conteneva anche un forte appello rivolto alla Chiesa…

R. – Sì. Facemmo quell’appello in quel Natale del 1991, perché stavamo vivendo una situazione molto grave nei nostri territori. Ma quell’appello, penso sia un appello che dovrà continuare sempre: penso sia il dovere della Chiesa quello di annunciare continuamente un bisogno di giustizia, specialmente in quelle situazioni in cui la giustizia non c’è.

D. – E’ cambiato da allora l’atteggiamento anche degli esponenti della Chiesa, don Paolo?

R. – Sì, certamente, oggi ci troviamo con una Chiesa che ha maggiore consapevolezza di queste necessità: consapevolezza di doverci essere, sul territorio, consapevolezza di dovere investire molte energie in questa opera di formazione delle coscienze.

D. – Perché, secondo lei, fu ucciso, don Beppe Diana?

R. – Quello che i processi hanno detto è che c’era un motivo di rivalità tra i clan, tra le bande, e quindi fu chiaramente un motivo prettamente di camorra. Don Peppino era in quel momento forse l’esponente più "duro" di una Chiesa che denunciava e allora è toccato a lui…

D. – 22 anni dopo, c’è il rischio di tornare indietro, secondo lei?

R. – Tornare indietro penso che sia più difficile, oggi, perché il lavoro che è stato fatto in questi 22 anni dalla Chiesa, dalle associazioni, dal Comitato Don Diana, dalla Scuola di pace Don Peppe Diana, penso sia un lavoro che abbia costruito qualcosa di forte nelle coscienze delle persone. Ma è chiaro che il rischio poi c’è sempre: c’è sempre nella misura in cui si abbandona un territorio a se stesso per mancanza di lavoro, per mancanza di infrastrutture… E questo è chiaro che può determinare una situazione di pericolo.

D. – Il 19 marzo 2015, alcune associazioni hanno chiesto di aprire il processo di Beatificazione per don Diana…

R. – …e il vescovo ha accolto questa richiesta, ha iniziato una serie di raccolta di documenti, di notizie, anche di testimonianze di tutto quello che riguarda la storia di don Peppe Diana.

D. – Quella mattina, il 19 marzo del 1994, don Peppe veniva ucciso in chiesa: era davvero inaspettato che la camorra, che la mafia colpisse un sacerdote in una chiesa... E’ vero, don Paolo?

R. – Cioè, non si sarebbe mai immaginato che si potesse arrivare a tanto. Ma purtroppo è capitato. Lo stesso don Peppe non immaginava che potesse esserci questo pericolo. La reazione fu innanzitutto di sgomento, ma poi di presa di coscienza e di consapevolezza che si sarebbe dovuto continuare. E continuare – chiaramente – con un atteggiamento un pochino diverso. Ed è quello che penso sia capitato, poi…

D. – Perché come credenti è importante ricordare don Peppe Diana, 22 anni dopo?

R. – E’ importante perché il suo sacrificio dev’essere di monito, ma soprattutto di insegnamento per ognuno di noi. Ognuno di noi deve sentirsi in gioco. Nessuno può mettersi da parte, nessuno può tirarsi indietro. Ognuno deve fare la propria parte. Lo fa la Chiesa, lo fanno le associazioni, ma ogni persona deve incominciare ad abitare questo territorio con un atteggiamento diverso.








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