2016-03-23 12:20:00

Bruxelles: arrestato un uomo. L'Europa divisa sulla sicurezza


Sono quattro i terroristi coinvolti negli attentati di ieri a Bruxelles: tre sono morti da kamikaze, il quarto - l'uomo con il cappello nella foto diffusa dalla
polizia - è in fuga. Lo ha spiegato il procuratore federale belga Frederic Van Leuw. 
 C’è poi la conferma che tra le vittime c’è anche una donna italiana che lavorava a un'agenzia legata alle istituzioni Ue. Sono almeno 3 i funzionari della Commissione Europea uccisi. Il servizio di Fausta Speranza:

"Catturato il terzo uomo degli attentati di Bruxelles". A sostenerlo è la stampa belga che parla dello stesso artificiere di Parigi ma poi il dietrofront: no, l’uomo fermato non è lo stesso uomo degli attentati del 13 novembre. Identificati invece due attentatori suicidi: Khalid e Ibrahim El Bakraoui, tra i 27 e i 30 anni. Intanto, la citta' è sotto shock, però nella notte, nonostante gli inviti a restare a casa, ci sono stati assembramenti in Place de la Bourse per momenti di raccoglimento e omaggio alle vittime. Il giorno dopo la strage è lutto nazionale. Ferma la linea della metropolitana che passa per la stazione di Maelbeek e Schumàan, ovvero nel cuore del quartiere che ospita le istituzioni Ue. Ancora chiuso l’aeroporto almeno fino a domani. Ma le scuole hanno riaperto e tutto il resto dei trasporti pubblici funziona regolarmente. Tra il dolore e lo sgomento, una denuncia grave: "Tutti i terroristi erano noti alle polizie locali ma non e' stato fatto nulla perche' non c'e' stato scambio di informazioni": ad affermarlo è il Commissario Ue per gli affari interni, Avramopoulos, che chiede collaborazione nuova tra Stati ricordando che "Europol e' un importante strumento ma va usato meglio". Appello alla difesa dei valori europei da parte dei premier di Belgio e Francia:  "Siamo piu' che mai determinati, con questo sentimento di dolore profondo, ad agire per proteggere i valori europei" di democrazia e liberta', dicono in conferenza stampa congiunta Michel e Valls.  Il premier francese Valls chiede che la reazione sia europea. Sembra rispondergli ancora il Commissario per gli affari interni, quando afferma: "Manca fiducia tra gli Stati", serve coordinamento serio tra intelligence.  

Annunciata una riunione straordinaria venerdì dei ministri dell'Interno dell'Ue. Ma il salto da fare va al di là delle riunioni straordinarie. Fausta Speranza ne ha parlato con Sergio Fabbrini, School of Governement alla Luiss:

R. – In questi giorni drammatici - in questo caso col terrorismo, nei mesi scorsi e ancora oggi con il problema dei rifugiati siriani, negli ultimi anni con la crisi dell’euro - è venuto al pettine un nodo che non era stato risolto sin dal Trattato di Maastricht. A Maastricht, per la prima volta, nel 1992, gli europei erano stati costretti, finita la guerra fredda, riunificata la Germania, a porsi problemi di natura politica in senso stretto. Fino a Maastricht l’Europa era stata fatta attraverso i mercati, attraverso l’economia, attraverso la costruzione di un’area libera da vincoli doganali. Dopo la fine della guerra fredda, l’Europa si è trovata di fronte la sfida della politica nel senso stretto. La risposta è stata: “Teniamola sotto controllo; i governi si coordinino fra di loro; cerchiamo di produrre una forma di integrazione basata sul coordinamento, sulla cooperazione”. Questo approccio, che ha avuto la dignità di un vero e proprio sistema costituzionale, ha potuto funzionare finché le cose andavano bene, finché non c’era una difficoltà nel sistema dell’euro, finché ogni Stato poteva controllare le proprie frontiere di fronte ad una immigrazione molto contenuta o finché non esistevano delle vere e proprie sfide, come oggi sta registrando l’Europa sul piano del terrorismo.

D. – Paradossalmente, c’è bisogno di più Europa in un periodo in cui ci si crede meno all’Europa…

R. – Esatto. Siccome è stata rinviata la scelta di creare un’unione politica con delle istituzioni legittime, in grado di prendere decisioni erga omnes che avessero un carattere vincolante, siccome quella scelta è stata rinviata, l’Europa non è in grado di rispondere di fronte alle crisi. E più l’Europa dimostra di non essere in grado di rispondere e più i cittadini si disaffezionano, scoprono che quell’Europa che pensavano potesse essere la soluzione dei propri problemi, in realtà è diventata il problema. Quindi, c’è una tendenza inevitabile ad andare verso le frontiere nazionali o a ritornare a casa, a ritornare nelle proprie capitali, pensando che lo Stato nazionale possa dare risposte che l’Europa non può dare. Il dramma è che lo Stato nazionale non può dare più risposte a problemi come il terrorismo, come i rifugiati siriani e, contemporaneamente, l’Europa non è in grado di farlo. Quindi, stiamo vivendo un momento drammatico. Ci troviamo in mezzo ad un guado, in cui è difficile tornare indietro - e se gli inglesi torneranno indietro, si accorgeranno dei costi! - ma non abbiamo gli strumenti per andare avanti.  

D. – Per esempio, tornare indietro su Schengen avrebbe un costo economico altissimo?

R. – Avrebbe un costo economico altissimo, avrebbe dei costi culturali: ritorneremmo ad un’Europa che – ricordiamo – è stata l’Europa delle frontiere e l’Europa delle rivalità tra gli Stati; l’Europa dei conflitti tra gli Stati e l’Europa che ha prodotto miseria, devastazione, guerre. Ritorneremmo indietro. Dobbiamo avere il coraggio, dobbiamo avere dei leader che siano coraggiosi per attraversare questo guado e giungere ad una sponda dove ci siano delle istituzioni che sono in grado di coordinare non solo formalmente, ma nei fatti, la lotta al terrorismo. Possibile che le polizie siano ancora gelose delle loro strutture, dei loro segreti, delle loro indagini? E’ possibile che ogni Stato si prenda cura delle proprie frontiere e non ci sia un corpo di frontiera comune all’interno dell’Unione Europea, perlomeno nella zona dell’euro? Possibile che ancora oggi noi non abbiamo una politica comune nei confronti dei rifugiati siriani, persone che fuggono dalla guerra, e siamo qui a litigare per quanti ne possiamo prendere, l’uno o l’altro Paese? E’ un’Europa che raggiunge anche livelli di miseria morale inaccettabile.   

L’azione terroristica in Belgio richiama quindi l’attenzione sul mancato coordinamento delle polizie e dei servizi di sicurezza dei vari Stati dell’Unione Europea. Luca Collodi ha chiesto a Franco Venturini, editorialista del Corriere della Sera ed esperto di politica estera, se gli attentati di Bruxelles potevano essere sventati.

R. – C’è un salto di qualità nel terrorismo. Però ciò che è accaduto era purtroppo previsto e fa ormai parte di una identità del nuovo terrorismo che è conosciuta. L’Is è caratterizzato dalla sua particolare ferocia, dal suo particolare radicalismo e anche dalla sua particolare abilità organizzativa: sono, queste, tutte caratteristiche che conoscevamo già.

D. – Questo significa che i nostri sistemi di protezione sono deboli?

R. – Prevenire un attentato è una delle cose più difficili che si possa immaginare: è come scortare una persona... E’ naturalmente utile e si può fare sempre meglio soprattutto in termini di collegamento tra i servizi. Però non illudiamoci. Non pensiamo che questo sia un fenomeno che si possa combattere e arrestare in poco tempo. La previsione di tutti gli esperti, purtroppo, è che episodi del genere continueranno. La nostra debolezza, forse, è invece a livello di atteggiamento mentale, di speranza che non accadrà più, oppure di ripetizione di certi appelli all’unità che poi non trovano riscontro nella realtà. Certamente dobbiamo capire che, e il Papa è stato il più bravo di tutti nel definire che questa è ‘una terza guerra mondiale a pezzettini’, che il terrorismo ha delle motivazioni regionali ma che si sta estendendo in Europa, certamente in Occidente. E dunque dovremo affrontarlo questo terrorismo.

D. – E’ anche vero che le organizzazioni terroristiche hanno finanziamenti, spesso nascosti dagli stessi Stati che poi dicono di combatterli…

R. – Sì, è vero. Non è vero in Europa, ma in Medio Oriente, dove ci sono interessi molto forti di tipo strategico, di tipo etnico, di tipo anche economico - ma non sono gli interessi economici quelli prevalenti - ed anche di tipo religioso. Se pensiamo al Medio Oriente, allo scontro all’interno dell’islam, è in corso una guerra civile all’interno dell’islam tra sciiti e sunniti. Pensiamo alla guerra dei turchi contro i curdi; pensiamo al confronto durissimo dei sauditi contro gli iraniani. Sicuramente, il Medio Oriente è pieno di queste ipocrisie. Per questo è molto importante quello che sta cominciando oggi il Segretario di Stato americano Kerry, che sarà in visita a Mosca: questo è cruciale, perché senza una vera collaborazione tra Stati Uniti e Russia - ed io aggiungerei anche la Cina - non si uscirà dal problema. In Europa, comunque, tutto questo porta soltanto vittime! Gli europei devono allora pensare per conto proprio a come reagire e il caso della Libia è tipico. Non possiamo continuare ad assistere – più o meno passivamente – all’istallazione dell’Is vicino a noi o comunque alla radicalizzazione delle comunità islamiche all’interno delle nostre grandi città: dobbiamo distinguere gli islamici terroristi ed isolarli, ma non pensare che tutto l’islam sia terroristico, naturalmente. Questo sarebbe esattamente quello che l’Is vuole ottenere: vuole che noi criminalizziamo tutti i musulmani, in modo da creare una grande lotta tra musulmani e cristiani o tra musulmani e altre religioni. A quel punto l’Is avrebbe vinto!








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