Oggi a mezzogiorno, le campane delle chiese di tutto il Belgio hanno suonato a morto in segno di lutto. Nel Paese profonda è la tristezza e lo sgomento per quanto accaduto. Ascoltiamo mons. Jean Kockerols, vescovo ausiliare di Bruxelles, al microfono di Hélènes Destombes:
R. – C’est d’abord une réaction humaine…
È innanzitutto una reazione umana, siamo senza parole,
sconvolti, presi dalla commozione. Insieme a tutti i cittadini di Bruxelles stiamo
piangendo, non capiamo e d’altronde non c’è nulla da capire. Poi c’è una reazione
civile, da cittadini: i cristiani, e tutti gli abitanti della città, devono fare affidamento
a quanti hanno ricevuto il mandato di governare, per assicurare il mantenimento dell’ordine
e della sicurezza. Ora non è il caso di fare polemiche e di puntare il dito: i colpevoli
non sono da questa parte. Infine, c’è la reazione del cristiano. Nelle chiese, l’invito
è a pregare per le vittime, per le loro famiglie: adesso prevale ancora l’emozione
e le parole sono vane. Ma bisognerà continuare a lavorare per l’unità, per la riconciliazione,
evitare di fare di tutta l’erba un fascio e tornare a pregare, cominciando noi stessi.
D. – C’è il rischio, secondo lei, che la paura prenda il sopravvento e che porti a un ripiegamento in sé stessi?
R. – Je crois que c’est profondément naturel d’avoir peur…
Credo che sia profondamente naturale avere paura.
Forse una reazione coraggiosa sarebbe quella di dire: “No, io non ho paura, perché
è il coraggio che deve vincere”, ma la prima reazione è di paura. Bisogna “gestire”
questa paura e ritrovare fiducia: certamente ci sono dei rischi di ripiegamento in
sé stessi, di separazione, di elaborare idee preconcette di emarginazione di alcune
persone, di alcune categorie di persone. A Bruxelles circa il 20% della popolazione
è di religione musulmana. Si rischia di rinchiudere questa popolazione nei ghetti,
più ancora di quanto già non accada, che non sono dei ghetti solo geografici, ma anche
ideologici e sociologici.
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