“Con la morte non si elimina la sofferenza, ma si elimina la vita della persona che soffre”. Scrive così il Consiglio permanente della Conferenza episcopale portoghese (Cep) in una nota relativa all’eutanasia. Da tempo, infatti, nel Paese è in atto un dibattito sociale e politico sulla possibilità di legalizzare l’eutanasia ed il suicidio assistito. La proposta arriva da un gruppo di cittadini riunitisi nel movimento denominato “Diritto a morire con dignità”, che ha raccolto le firme necessarie per consentire l’avvio di una discussione sul tema, all’interno delle forze parlamentari. In vista di tale dibattito, dunque, la Cep desidera esprimere il suo parere, affinché ci sia “un dialogo sereno ed umanizzante” e si comprendano bene “le questioni in gioco”.
Uccidere non è mai lecito
Articolata in dodici punti, la nota pastorale ribadisce, innanzitutto, la differenza
tra eutanasia e rifiuto dell’accanimento terapeutico, ovvero di interventi sanitari
inadeguati alla situazione reale del paziente. “La rinuncia a metodi di cura sproporzionati
– si legge nella nota – non equivale al suicidio o all’eutanasia perché esprime, in
primo luogo, l’accettazione di una condizione umana prima della sua morte”. Al contrario,
alla base della proposta di legalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito
“c’è la pretesa di ridefinire la consapevolezza etica e giuridica sul rispetto e la
sacralità della vita umana”. Si pretende, infatti, che il comandamento “Non uccidere”,
secondo il quale non è mai lecito uccidere una persona innocente, sia sostituito da
un altro, in base al quale uccidere una persona è illecito solo senza il suo consenso.
La vita umana è sempre meritevole di protezione
Ciò, spiega la Cep, comporta che “la norma secondo la quale la vita umana è sempre
meritevole di protezione, perché è un bene in se stessa, dotata di dignità, venga
sostituita da un altro criterio secondo il quale la dignità ed il valore della vita
umana sono variabili”. E questo, sottolineano i vescovi portoghesi, “è inaccettabile”.
Per i credenti, infatti “la vita non è un oggetto del quale si possa disporre arbitrariamente,
bensì un dono di Dio, una missione da compiere”.
Un omicidio è sempre un omicidio, anche con il consenso della vittima
Ed il valore intrinseco della vita umana “in tutte le sue fasi ed in ogni situazione”
è profondamente radicato non solo nella cultura cristiana, “ma anche nella ragione
universale”, tanto che “la Costituzione portoghese afferma categoricamente che la
vita umana è inviolabile”. Pertanto, la sua inviolabilità “non cessa con il consenso
del suo titolare” ed “un omicidio non smette di essere un omicidio con l’assenso della
vittima”.
Vita umana, presupposto di tutti i diritti
Quindi, i vescovi di Lisbona sottolineano che “la vita umana è il presupposto di tutti
i diritti e di tutti i beni terreni”; inoltre, “non si può mai avere la garanzia assoluta
che la richiesta di eutanasia sia davvero libera, inequivocabile ed irreversibile”.
Ci sono, infatti, molti fattori che possono condizionarla – nota la Cep – come uno
stato d’animo momentaneo nel malato sofferente; una fase depressiva; il grido di disperazione
di chi si sente abbandonato e vuole richiamare l’attenzione degli altri. Il dubbio
sulle reali volontà del paziente, quindi, permane sempre.
Incentivare cure palliative
Di fronte a tali situazioni, dunque – ribadisce la Chiesa portoghese – la risposta
non può essere quella di far dipendere la dignità della vita umana dalle circostanze
esterne, bensì di tutelarla sempre e comunque, “fino alla fine”, in quanto “valore
incommensurabile per tutti”. Al contrario, “l’eutanasia è una forma facile ed illusoria
di affrontare la sofferenza, la quale, invece, va affrontata seriamente attraverso
la medicina palliativa e l’amore concreto per i malati”, tutelando la loro dignità
e migliorando, per quanto possibile, la loro qualità di vita.
Misericordia è aiutare gli altri a vivere fino alla fine
“Sopprimere la vita di una persone sofferente in nome di una presunta diminuzione
della sua dignità – afferma la Cep – è facile e poco costoso. Ma è disumano!”, perché
“la morte non è una soluzione”. Inoltre, i vescovi ricordano che “molti malati, soprattutto
i più poveri, non hanno accesso alle cure palliative” ed è su questo punto, invece,
che bisognerebbe lavorare di più. Infine, i presuli si appellano “alla coscienza dei
legislatori”, affinché si comprenda bene “cosa c’è davvero in gioco”. “Nell’Anno giubilare
della misericordia – si conclude la nota – ricordiamoci che essa ci spinge ad aiutare
gli altri a vivere fino alla fine. Non ad ucciderli o ad aiutarli a morire”. (A
cura di Isabella Piro)
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