2016-04-04 13:10:00

Al via intesa Turchia-Ue. Vegliò: i profughi non sono merce


E' entrato in vigore oggi l’accordo tra Unione Europea ed Ankara per limitare gli arrivi in Europa dei migranti. In Turchia, oggi, i primi sbarchi dalle isole greche di Lesbo e Chios: 135 le persone scortate, tra pesanti misure di sicurezza. Nel contempo i primi profughi che hanno ottenuto il diritto alla protezione internazionale sono stati trasferiti dal territorio turco in Germania e Finlandia. Circa 4.000 dal 20 marzo scorso gli immigrati trattenuti sulle isole greche. Pesanti le critiche di molte ong che parlano di espulsioni collettive e denunciano dietro l’intesa gli interessi politici ed economici di Ankara. Molte le perplessità sollevate anche dal cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per i migranti. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

R. – A me nascono parecchi dubbi, prima di tutto perché è quasi un negare a queste persone il diritto ad emigrare: loro vogliono – ad esempio – andare in Germania e si ritrovano in Turchia. E con quale garanzie? Si sa quello che è la Turchia! Non è che la Turchia sia un esempio di liberalità o di democrazia. In più la Turchia – io capisco bene – facendo questo accordo ci guadagna economicamente. In più credo – ed è la cosa principale – farà di tutto per entrare nella Comunità Europea.

D. – Tanto che qualcuno ha criticato dicendo che i migranti non possono essere trattati come merce di scambio...

R. – Si sono già avverate cose che non sarebbero dovute accadere, perché ogni giorno gruppi dalla Turchia vengono rispediti in Siria. E chi controlla poi queste cose? Lei capisce che è una cosa seria! Uno viene qui, in Europa, si ritrova in Turchia e poi, dopo una settimana o dopo un mese, si ritrova nella patria dalla quale è scappato. Come purtroppo sta succedendo, perché non c’è un organo di controllo. Secondo punto: come possono avvenire i ricongiungimenti familiari con questo sistema? Questo fenomeno, questo accordo suscita molte perplessità. E questi poveri migranti profughi non sono mica roba alla posta, un chilo di merce: 80 chili li prendiamo e li mandiamo là… Sono persone!

D. – Ecco, alla luce dell’entrata in vigore di questo accordo – qualora ci fosse ancora uno spazio per poterlo ripensare e riformulare – che riflessione si sente di fare, che suggerimento si sente di dare?

R. – Non è facile! Il problema dei rifugiati, come quello dei migranti, è un vero problema che sta sulle spalle dell’Europa soprattutto… Però io penso di dovermi comportare – non io personalmente, ma io come Stato – con un approccio molto umano, perché si tratta di persone. Poi bisogna essere ben chiari nel distinguere i migranti e i profughi: riguardo ai profughi c’è un accordo internazionale, firmato dai Paesi più sviluppati, in cui si impegnano a vedere di dare loro la possibilità di vivere fuori dal loro Paese, dal quale sono scappati. Ad un migrante sociale, non è bello, non è evangelico, ma forse si potrebbe dire: “Tu sei venuto qui, ma qui non trovi lavoro. Ti conviene tornare al tuo Paese, che magari noi ci impegniamo ad aiutare”. Ma i profughi, oltre a non essere pacchi postali, sono persone da trattare con i guanti.








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