2016-04-04 09:00:00

Cala disoccupazione nell'Eurozona. Vaciago: deve crescere Pil


Cala la disoccupazione nell'Eurozona: a febbraio è scesa al 10,3%, di un punto percentuale rispetto a gennaio, mentre era all’11,2% un anno fa. E’ il valore più basso dall’agosto 2011. In Italia, però, è risalita all'11,7%. I tassi di disoccupazione più bassi sono stati registrati in Germania (4,3%) e Repubblica Ceca (4,5%), mentre i più alti in Grecia (24%, dato di dicembre) e Spagna (20,4%). Per quanto riguarda la disoccupazione giovanile è scesa dal 19,5% al 19,4%. Un anno prima era al 20,9%. L'Italia ha il quarto tasso più alto con il 39,1%, superata solo da Grecia, Spagna e Croazia. I Paesi in cui ci sono meno disoccupati giovani si confermano Germania (6,9%), Repubblica Ceca (10,2%) e Danimarca (10,5%). Nonostante questa piccola ripresa, cresce la tensione all’interno dell’Unione Europea sul tema del lavoro. In Francia, i sindacati sono scesi in piazza per manifestare contro i nuovi progetti di legge del governo ispirati al jobs act italiano. Ma c’è una tendenza comune, in Europa, nel riformare il mercato del lavoro? Daniele Gargagliano ne ha parlato con l’economista Giacomo Vaciago:

R. – Direi di sì. L’abbiamo già visto 10 anni fa in Germania, poi l’abbiamo visto con la nostra riforma del mercato del lavoro che ha tenuto conto dell’esperienza tedesca e adesso ci provano i francesi. Dove l’osso è più duro, perché i francesi – più ideologici, anche, di noi – credono che il lavoratore lo si tuteli solo con le leggi. In realtà, le leggi servono ma non bastano. Se hai un mercato del lavoro che funziona, qualcuno un lavoro lo trova. Ma non basta se l’economia, nel frattempo, non riparte.

D. – Le nuove misure adottate dai governi, secondo i sindacati, stanno portando a un abbassamento delle condizioni lavorative. Secondo lei sono invece indispensabili per modernizzare il mercato del lavoro?

R. – In realtà, senza crescita noi non riusciamo a difendere i livelli di occupazione perché non riusciamo a difendere i livelli di reddito, di benessere. Possiamo solo “spalmarlo” su più o meno persone. Il Pil è cresciuto solo dello 0,8% in un anno; l’occupazione è cresciuta di più, quindi per definizione c’è stato un aumento di benessere dei lavoratori. Bisognava crescere del 2% e non solo dello 0,8. Però allora cambiamo discorso, non parliamo di mercato del lavoro; parliamo di innovazione, di tecnologia, di buona scuola, parliamo di tutto ciò che serve a dare la crescita. Il sindacato, a sua volta, deve riscoprire che funzione può utilmente svolgere a tutela dei singoli lavoratori nelle singole fabbriche e non solo nelle grandi piazze del Paese.

D. – Tornando in Francia, il governo socialista ha annunciato un nuovo disegno di legge di riforma del mercato del lavoro, sulla scia di quello italiano. Quanto ha perso di peso la rappresentanza sindacale?

R. – Non c’è dubbio che alcuni miti – pensiamo alle 35 ore, pensiamo alle vittorie del sindacato di 40 anni fa, al nostro Statuto dei Lavoratori – vanno completamente rivisti, in un mondo globale, mai esistito prima, dove alla fine l’operaio cinese compete con l’operaio francese e tedesco e italiano: che ti piaccia o no…

D. – In linea generale, perché si procede in questa direzione se – come dicono i dati, seppure in maniera oscillante – si tende a una prima ripresa?

R. – Il peggio è passato: la ripresa del 2015 lo testimonia; ma il meglio non è ancora arrivato. E il meglio – per noi e per i francesi – è tornare a crescere al 2 per cento.

D. – In Italia resta preoccupante il dato sulla disoccupazione giovanile al 39%, contro una media europea del 22%. Come fare ad invertire la tendenza in modo significativo?

R. – Ai giovani devi promettere un futuro. Altrimenti, vanno a cercarselo altrove. In questi anni, i nostri migliori figli sono andati a cercare lavoro in altri Paesi del mondo: molto in Inghilterra, ma non solo. Devi garantire loro che c’è un sentiero di crescita; bisogna riuscire a tornare ad avere la lunga vista di cui parlava Padoa-Schioppa: una vista lunga è quella di chi guarda a come saremo – o vorremo essere – tra 20 anni ... non lunedì.








All the contents on this site are copyrighted ©.