2016-04-04 12:35:00

Giornata anti-mine, "semi di carneficina" che ancora uccidono


“Rinnoviamo l’impegno per un mondo senza mine”. E’ l’appello del Papa lanciato alla vigilia dell’odierna Giornata internazionale di sensibilizzazione sulle mine, promossa dalle Nazione Unite per evidenziare l’impatto inaccettabile sui civili dei residuati bellici inesplosi e spronare gli Stati a rispettare le convenzioni che hanno posto al bando l’uso delle mine e di altri ordigni contro le popolazioni. Per l’occasione, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha dichiarato: “agire contro le mine è un investimento per l’umanità”. Roberta Gisotti ha intervistato Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine:

Ce ne sono, si stima, 132 milioni inesplose, che uccidono ancora in una sessantina di Paesi, 100 mila i morti negli ultimi 15 anni, quasi 1.250 nel 2014. Centinaia di migliaia le vittime mutilate, in gran parte bambini. Costano poco le mine, dai 3 ai 15 dollari, ma per ogni dollaro speso ne servono 20 per disinnescarle. Il dott. Schiavello:

R. – Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha voluto mettere in luce che il problema delle mine e di tutti gli ordigni inesplosi è un problema che ha un impatto umanitario fortissimo. Quest’ultimo non va soltanto nella direzione dell’idea di bonifica, ma anche in quella di permettere alle popolazioni di rientrare nelle proprie case, nelle proprie scuole, di coltivare i terreni, e poter utilizzare i pozzi.

D. – Dott. Schiavello, a che punto è il cammino per la messa al bando totale delle mine antiuomo?

R. – Di fatto, oggi sono 162 i Paesi che hanno aderito alla Convenzione di Ottawa e questo ha permesso che anche i Paesi che non sono parte di questo Trattato abbiano fermato l’utilizzo, la produzione e il commercio di queste armi. Si sono registrati pochissimi casi di eserciti statali che hanno utilizzato queste armi in violazione di un Trattato che è uno stigma per chi le usa. Ci si rende infatti conto che è un’arma che va a discapito dei civili. Però, dobbiamo considerare che, siccome questi ordigni rimangono attivi per più di 50 anni anche dopo la fine dei conflitti, questi rappresentano un’eredità di morte: possiamo dire che sono "semi di carneficina". E tantissimi altri ordigni inesplosi poi aggravano la situazione generale. La Santa Sede ha fatto moltissimo per la Convenzione di Oslo per la messa al bando delle cluster bombs (bombe a grappolo), così come per le mine antipersona: il rinnovato impegno di Papa Francesco è stato ancora un segnale molto forte per la società civile impegnata nel tenere alta l’attenzione sul problema degli ordigni inesplosi. Di questo le siamo veramente molto grati.

D. – Ma ci sono abbastanza investimenti da parte degli Stati e da parte delle Nazioni Unite per disinnescare questa enorme quantità di mine inesplose?

R. – Possiamo dire che l’impegno è abbastanza forte. C’è un’Agenzia delle Nazioni Unite, la Unmas (United Nations Mine Action Service), che coordina molte di queste operazioni. I fondi non sono però sufficienti... In questo senso, un appello molto forte ai Paesi potrebbe essere quello di non credere che con una Convenzione di messa al bando di queste armi l’emergenza si risolva. Infatti, la Convenzione serve a non aggravare la situazione, a rendere visibile il fatto che alcune armi sono “inumane ed indiscriminate”. Anche se negli anni questa produzione si è fermata, immaginiamo senza questa Convenzione cosa sarebbe potuto essere il mondo oggi! Probabilmente sarebbe totalmente pieno, e in misura ancora maggiore, di ordigni bellici con effetti indiscriminati. Crediamo che invece l’impegno – in virtù delle tante guerre, conflitti e bombardamenti che lasciano, oltre alle mine, tantissimi ordigni inesplosi in aree molto vaste – vada rinnovato. Anche con l’impegno a finanziare progetti di cooperazione in questi Paesi.

D. – Si terrà a maggio ad Istanbul il primo Summit mondiale umanitario: che posto avrà il dibattitto sulle mine?

R. – Quello che ci auspichiamo, e che auspica anche il segretario generale delle Nazioni Unite, è che la “Mine Action” – la chiamiamo così, ma ricordiamo che questa espressione include una serie di attività quali la bonifica e il reinserimento socioeconomico delle vittime, il soccorso medico e l’educazione al rischio mine, ossia al riconoscimento degli ordigni inesplosi – venga inserita a tutti gli effetti tra le priorità dell’Agenda per l’Umanità. E siamo sicuri che la Santa Sede, come sempre, darà un grande supporto a questo scopo.








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