2016-04-06 11:42:00

Pakistan, Paul Bhatti: anche dopo Lahore c'è speranza per i cristiani


Non si placa in Pakistan l’eco dell’attentato di Lahore, che il giorno di Pasqua ha causato la morte di 72 persone in un parco cittadino. L’attacco, rivendicato da una frangia dei talebani, ha colpito indistintamente la comunità musulmana e la minoranza cristiana. Spesso discriminati, i cristiani pakistani hanno tra i loro simboli Shabaz Bhatti, ministro per le Minoranze assassinato nel 2011 e Asia Bibi, in carcere dal 2009 con l’accusa di blasfemia. Sulle reazioni nel Paese dopo l’attentato, Michele Raviart ha intervistato Paul Bhatti, fratello e successore politico di Shabaz, ospite di un convegno dell’Università Gregoriana di Roma su “Asia, terra dei martiri”:

R. – E’ chiaro che l’attentato di Lahore è stato un grande shock per tutti quanti noi che, in quel giorno, celebravamo la Santa Pasqua in tutto il Pakistan. Questo è un parco molto frequentato da cristiani. Noi eravamo illusi che fossero finiti gli atti terroristici, non solo contro i cristiani ma contro qualunque persona a noi cara. D’altra parte, però, se devo essere onesto questo attentato ce lo aspettavamo, perché un mese prima era stato impiccato l’assassino di Salman Taseer, il governatore del Punjab che difendeva Asia Bibi, amico anche di mio fratello. Noi siamo contro la pena di morte, ma abbiamo visto che in Pakistan esiste la giustizia. La Corte suprema ha sentenziato la pena di morte e il governo ha mantenuto la sua promessa. La condanna è stata eseguita nonostante tutte le minacce, tutte le pressioni degli estremisti sul governo e sulla gente.

D. – L’attentato si è svolto il giorno di Pasqua, ma ha causato più vittime musulmane che cristiane. Che ripercussioni può avere nei rapporti fra la stragrande maggioranza musulmana del Paese e il 2% dei cristiani in Pakistan?

R. – Io penso che questa sia stata una delusione di Stato. Molti musulmani si sono arrabbiati, perché sono stati loro, principalmente, le vittime: su 72 vittime, 50 sono state musulmane e ci sono stati più di 300 feriti. Tanti hanno protestato e molti giornalisti musulmani in televisione hanno dichiarato: “Da oggi in poi non vogliamo più sentire la parola minoranza, perché loro sono come noi, e finché non se ne verrà fuori noi saremo con loro”. Questa è stata una bella testimonianza.

D. – Dopo l’azione politica di suo fratello, e quella che lei ha continuato, c’è bisogno ancora oggi di un ministro per le Minoranze in Pakistan?

R. – Mio fratello aveva fatto varie cose, riforme, con questo Ministero per le minoranze. Era un voce, infatti, nel gabinetto dei ministri, una voce nel parlamento, un punto di riferimento per tutte le minoranze, per gli indù con i loro tanti problemi. Quando venivano con i loro leader religiosi sapevamo quello che vivevano e potevamo esporre i loro problemi al governo, al parlamento, e si potevano trovare soluzioni. Non avendo un punto di riferimento, a questo punto, le minoranze soffrono. Noi tuttora vogliamo questo. Infatti, stiamo cercando di dialogare con il primo ministro pakistano di queste cose, dicendo che vogliamo vari cambiamenti e il cambiamento della Costituzione che vieta a un appartenente ad una minoranza di diventare primo ministro. Vogliamo che tutte queste cose vengano eliminate. Ci sono problemi anche di riconoscimento del matrimonio tra gli appartenenti alle minoranze. Poi, ci sono anche problemi durante le elezioni, perché queste minoranze non partecipano a un sistema elettorale equo. Non vengono mai eletti, infatti, visto che la maggioranza della popolazione non li vota. Il risultato è, dunque, che non arrivano mai in parlamento. E’ un sistema di selezione che non garantisce che ci siano rappresentanti delle minoranze e un ministro in rappresentanza delle minoranze è molto importante per discutere di queste cose.

D. – Qual è adesso la situazione dei cristiani in Pakistan, le condizioni materiali: è migliorata, è peggiorata, vi sentite più vicini alle istituzioni, al di là chiaramente di questi attacchi terroristici?

R. – Credo che la situazione dei cristiani o di altre minoranze sia direttamente proporzionale alla situazione generale del Pakistan. Se in Pakistan c’è la pace, anche i cristiani stanno bene, se in Pakistan non c’è la pace, i cristiani, che sono più deboli ed emarginati dalla società, soffrono di più. Ma, attualmente, la mia sensazione è di speranza. Vedo una speranza, perché ci sono atti concreti da parte dei militari, da parte del governo, da parte dei politici per eliminare questo terrorismo: hanno eliminato tantissime scuole religiose, hanno eliminato tantissimi luoghi dove venivano fabbricate le armi, hanno chiuso tantissimi centri terroristici estremisti e tantissime persone cominciano a parlare di cambiare la Costituzione a favore delle minoranze. Questo allora è un passo positivo, è un cambiamento.

D. – Lei ha incontrato più volte Papa Francesco. Lo sente vicino al Pakistan?

R. – Ho visto il Santo Padre cinque volte. La prima volta, quando ero al governo, in occasione della sua elezione. Sono venuto a congratularmi da parte del governo pakistano, con una delegazione. Lui è vicino ai cristiani perseguitati e molto vicino al Pakistan. Poi, ho visto anche Papa Benedetto XVI e la prima volta che l’ho incontrato lui mi ha detto subito che mio fratello era un martire. Mi ha detto: “Non preoccuparti, perché lui ti aiuta da lassù”.








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