2016-04-07 15:00:00

Lago Ciad. Medici Senza Frontiere: quasi 3 milioni di sfollati


Quasi tre milioni di persone in fuga dalla guerra e dalla povertà si sono rifugiate nel bacino del lago Ciad nel centro dell’Africa. Un milione circa arriva dalla Nigeria in fuga dalle violenze perpetrate dal gruppo terroristico Boko Haram. Daniele Gargagliano ha parlato della grave situazione in Ciad con Federica Alberti, che opera sul posto come capo della missione umanitaria di Medici Senza Frontiere:

R. – La situazione umanitaria è complessa e il contesto è molto volatile e questo perché da circa un anno, anche più di un anno, ci sono diversi rifugiati che lasciano il lago e si spostano verso la terra ferma per ragioni anzitutto di sicurezza, ma anche su richiesta del governo che in quelle terre compie operazioni militari. I problemi che noi incontriamo sono relativi alla salute e all’accesso all’acqua; ma anche relativi alla salute primaria, perché queste sono persone che, a volte, hanno subito delle violenze e Msf fornisce loro un supporto di assistenza psicologica ma anche vaccinazioni…

D. – Perché quasi tre milioni di persone cercano rifugio nel bacino del Ciad?

R. – Anzitutto bisogna dire che il bacino del Lago Ciad comprende diversi Paesi: quindi non comprende solo il Ciad, ma anche il Niger e la Nigeria. Molto spesso queste persone lasciano le loro terre per ragioni di sicurezza e soprattutto nel caso del Ciad è il governo a chiedere a queste popolazioni di lasciare le loro terre per poter compiere operazioni militari contro Boko Haram.

D. – La violenza del terrorismo e della guerra ha aggravato una situazione di miseria già preesistente per le popolazioni?

R. – Il Lago Ciad è una zona in cui c’erano già delle problematiche preesistenti, come appunto l’accesso all’acqua e alla sanità. Effettivamente la situazione era precaria già prima che questo fenomeno si sviluppasse.

D. – Quali sono le cause principali di questo grande esodo?

R. – Problemi di sicurezza e attacchi kamikaze che vengono compiuti contro queste popolazioni da parte di Boko Haram. E’ chiaro che le popolazioni, non sentendosi in sicurezza, sono costrette a lasciare le loro terre, lasciando soprattutto la zona del lago e dirigersi verso la terraferma.

D. – Quali iniziative, voi di Medici senza Frontiere, avete messo in campo per gestire l’emergenza umanitaria?

R. – Abbiamo messo in campo le cliniche mobili, attraverso le quali viene fornito un servizio sanitario di base e vengono forniti, in casi specifici, anche dei kit che si chiamano No Food Items, che sono composti da prodotti safe-care: quindi del sapone, delle corde, delle cose non commestibili. Cerchiamo di fare anche delle distribuzioni di trattamenti per l’acqua, proprio perché l’accesso alle risorse è veramente un grosso problema. Diamo poi un servizio sanitario di base e quando necessario forniamo anche dei beni di prima necessità. Nel febbraio sono state fatte circa 7 mila consultazioni mediche nei nostri centri. Il nostro obiettivo è quello di portare soccorso a queste persone che hanno bisogno di una assistenza dal punto di vista psicologico, ma anche riguardo ai bisogni primari e quindi la necessità di un luogo dove poter stare; di avere del legno per costruire delle case anche se semplici e fatte solo di terra e legno; ma anche la necessità dei beni di primi necessità. Questo è il nostro obiettivo, l’obiettivo di Msf.








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