2016-04-14 13:23:00

Twal, palestinesi disperati: non è vita, serve il coraggio della pace


La situazione dei cristiani in Terra Santa è stata al centro dell’incontro con il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, tenutosi stamani nella sede della Pontifica Università della Santa Croce. E’ stata l’occasione per una ricca panoramica sulla presenza delle comunità cristiane nella Terra di Gesù. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

I cristiani, con le loro istituzioni, continuano ad essere in Terra Santa soprattutto i testimoni viventi della storia della salvezza. Impediscono e impediranno – ha affermato il patriarca latino di Gerusalemme - che i Luoghi Santi si riducano ad essere solo dei siti archeologici.

I cristiani di Terra Santa sono la memoria vivente di Gesù
I cristiani di Terra Santa – poco meno del 2% della popolazione complessiva, ovvero 450 mila persone su un totale di oltre 18 milioni degli abitanti in Giordania, Palestina ed Israele - “sentono profondamente di essere, ancor oggi, la memoria vivente della storia di Gesù”.

Il piccolo gregge tra ebrei e musulmani
I cristiani – ha spiegato il patriarca Fouad Twal – in Terra Santa sono “come un cuscinetto tra due presenze maggioritarie”, un “piccolo gregge” tra musulmani ed ebrei. Ma sono innumerevoli le difficoltà causate, in Medio Oriente, dal conflitto: “L’occupazione militare”, “la violenza reciproca”, “il fanatismo religioso crescente, sia israeliano sia musulmano”.

L’insicurezza alimenta l’esodo
Il muro di separazione, lungo oltre 700 km e alto 8 metri, isola la popolazione palestinese e limita – ha aggiunto il patriarca latino di Gerusalemme – la libertà di movimento, lo studio, il lavoro, i viaggi e le cure mediche. Il clima di insicurezza generale provoca un vero e proprio esodo di cristiani dalla Terra Santa.

L’accordo tra Santa Sede e Stato di Palestina
In base all’accordo firmato il 26 giugno 2015, la Santa Sede riconosce lo Stato di Palestina e la sua ammissione nell’Onu come membro osservatore. L’intesa, tra l’altro, garantisce  libertà di coscienza e di religione, la libertà di fondare istituzioni di carità. L’unico Paese contrario a questo accordo – ha ricordato il patriarca Fouad Twal - è stato Israele che, poco dopo la firma di questa intesa, ha avviato la costruzione di un nuovo tratto di muro nella Valle di Cremisan.

La situazione in Palestina
Nella Striscia di Gaza i cristiani di tutte le confessioni sono ormai poco più di un migliaio. Le condizioni in cui vivono sono molto difficili. C’è disoccupazione, i bambini sono numerosi, molte abitazioni sono fatiscenti. Nella Palestina, in generale, le relazioni con i musulmani “restano buone, nonostante alcuni episodi di fondamentalismo”. E’ generalmente riconosciuto che la presenza cristiana gioca “un ruolo positivo nella società araba”.

La situazione in Israele
Anche in Israele – ha osservato il patriarca latino di Gerusalemme - la Chiesa si muove su un terreno prevalentemente arabo ma si confronta anche con le sfide del mondo ebraico. Mons. Twal ha ricordato, in particolare, la situazione degli immigrati che in Israele provengono soprattutto dalle Filippine, da alcuni Paesi dell’Africa e dall’India. Pur essendo di solito cristiani, la scolarizzazione dei loro figli avviene in scuole ebraiche. Ma apprendono gli insegnamenti della sola religione ebraica, rischiando di perdere le radici cristiane.

L’educazione, la collaborazione e il dialogo nella verità - afferma il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal - sono i ponti per unire le speranze della Terra Santa e abbattere i muri più alti, quelli invisibili intrisi di odio eretti nel cuore dell’uomo. Ascoltiamolo al microfono di Amedeo Lomonaco:

R. – Credo che la situazione sia talmente grave che nessun Paese da solo, nessuna Chiesa da sola, possa dare una soluzione. Dobbiamo rivolgere al mondo, a tutti i Paesi, a tutti i governi  un appello alla solidarietà, per essere coscienti che questo “modo di vivere” non è un modo, non è una vita. L’occupazione militare israeliana dura da 66 anni e questo è impensabile. Non si può vivere tutto il tempo sotto pressione! La gente è disperata: l’ultima rivolta dei bambini, l’intifada dei coltelli, è una prova di più che questi giovani non hanno più niente da perdere. Questo non è un esercito, non è un gruppo politico, non è un partito. Sono bambini! Per il fatto che non hanno nulla da fare né scuola né educazione né lavoro né dignità né libertà di movimento, 'giocano' con i coltelli. È compito dei grandi saggi avere una visione grande per tutti quanti. La situazione attuale non serve a nessuno. Credo nell’educazione, credo nelle scuole, credo nelle università, credo nella collaborazione. Quanto al dialogo, se è un dialogo di cortesia non serve a molto. Avendo ben chiare le differenze che ci sono tra noi  - e nonostante questo - siamo chiamati a vivere insieme, al rispetto e alla dignità reciproca.

D. - Serve il dialogo proprio per abbattere le differenze ma anche le barriere. In questo mese di aprile è ripresa la costruzione del muro nella zona di Cremisan …

R. - I muri visibili che vediamo sono la realizzazione di altri muri peggiori che si formano nel cuore dell’uomo. Si chiamano odio, paura, sfiducia … Prima di abbattere questi muri visibili, che è la cosa più facile, dobbiamo abbattere i muri nel cuore dell’uomo. Questo richiede educazione, fiducia, giustizia, coraggio. Ci vuole più coraggio per portare la pace che per fare la guerra! Per la guerra basta un capriccio. E' una cosa facile. Per costruire la pace ci vuole più coraggio, più resistenza, più buona volontà e, spesso, questa buona volontà manca.








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