2016-04-17 14:28:00

Papa, famiglie siriane. S. Egidio: è possibile cambiare vita


Per le tre famiglie siriane portate ieri a Roma dal Papa ed accolte dalla Comunità di Sant’Egidio è già iniziata una nuova vita e un percorso di inclusione e integrazione. Le  tre coppie di profughi e i loro bambini hanno espresso gratitudine al Pontefiche e hanno vissuto momenti di grande emozione alla cena di accoglienza a Santa Maria in Trastevere. Marco Guerra ne ha parlato con Daniela Pompei, responsabile del servizio ai migranti della Comunità di Sant'Egidio:

R. – E’ stato un clima molto caldo, molto accogliente. Gli altri profughi, già ospiti nella casa di accoglienza, hanno preparato una cena siriana e questo ha già dato loro la dimensione di entrare in una famiglia: c’erano i felafel, c’erano dolci siriani preparati dalla prima famiglia che è arrivata – anch’essa siriana – con la bambina… Erano un po’ stanchi e anche un po’ storditi, ma contentissimi! Non se lo aspettavano… Molti ci hanno detto: “Siamo rimasti senza parole!”. Le parole che ripetevano continuamente erano: “grazie”, “grazie”, “grazie al Papa”, “grazie al Papa di questo”, “noi non pensavo, effettivamente”… Uno dei capi famiglia ci ha detto: “Questa accoglienza – io ero un po’ timoroso dell’arrivo, perché non sapevo cosa avrei trovato – mi ha fatto dimenticare tutto quello che ho passato in Siria!”.

D. – Che impressione hanno avuto del Papa? Il Santo Padre ha toccato i loro cuori?

R. – Effettivamente, questo abbraccio del Pontefice ha cambiato la loro vita. Loro sapevano che il Papa sarebbe arrivato a Lesbo, sapevano anche il significato di questa visita: andare a vedere loro, andare a vedere i profughi. E quando hanno anche intuito che sarebbero tornati con il Papa, ovviamente le parole – come dicevo prima – che ripetevano e che hanno ripetuto continuamente sono state: “Grazie! Grazie!”. Una delle famiglie ha detto al Papa: “Preghi per noi” e il Papa ha risposto loro: “Pregate voi per me!”.

D. – Sappiamo che queste famiglie sono di religione musulmana. Con quali modalità sono state scelte?

R. – Non sono state scelte per il discorso religioso, ma semplicemente perché c’era una situazione – determinata dalla loro stessa condizione – di vulnerabilità. Anzitutto, perché sono famiglie e il fatto di essere già famiglia in fuga è di per sé una condizione di vulnerabilità e poi perché tutte queste famiglie venivano da un Paese che vive una guerra che dura da più di cinque anni. Una di queste famiglie, in particolare, viene da una zona che è controllata da Daesh, le altre due famiglie vengono da zone vicino a Damasco, dalla zona di confine in cui c’erano i combattimenti e sono stati costretti a fuggire. Questo è molto significativo, perché sono persone che non avevano intenzione di lasciare la Siria: hanno aspettato cinque anni prima di lasciare la Siria!

D. – Queste famiglie avevano una vita normalissima nel loro Paese d’origine, che è stata sconvolta dalla guerra. Nei loro occhi c’è tutto il dramma del conflitto siriano…

R. – Erano persone normalissime. Nella coppia più giovane, la moglie è un ingegnere agronomo, anche il marito è un ingegnere: era una coppia normalissima e aveva già un percorso di vita abbastanza segnato in maniera positiva. Anche le altre due famiglie sono normalissime. Una signora è sarta e lavorava come sarta, l’altra lavorava come parrucchiera; uno dei due mariti faceva piccolo commercio e l’altro faceva l’agricoltore… Quindi, sono famiglie che avevano una loro vita, una vita dignitosa. Due di queste famiglie ci hanno detto che hanno bombardato la loro casa e che non potevano più vivere lì. Hanno conosciuto anche la violenza dello Stato islamico. Una delle donne ci ha raccontato che è stata costretta a portare il Burqa totale, un’altra invece ci ha raccontato che se gli uomini portavano i jeans venivano ripresi…

D. – I bimbi dell’asilo per stranieri della vostra Comunità erano presenti alla cerimonia di accoglienza. Si tratterà quindi di un soggiorno in comunità, che prevede un percorso di accoglienza e di inclusione?

R. – Sì, certo. Prevede un percorso di accoglienza e di integrazione immediatamente: già questa mattina alcune delle famiglie stavano venendo qui, nella nostra scuola di lingua e cultura italiana, per iscriversi, per iniziare subito il percorso di integrazione. Effettivamente, questo è necessario: essere accompagnati, essere accolti, ma iniziare subito il percorso di integrazione. Hanno tutto il desiderio di farlo. Pur essendo stanchissimi – felici, ma stanchissimi – sia le donne che gli uomini mi hanno chiesto se potevano venire a iscriversi alla scuola di lingua. La mattina a Lesbo ci hanno chiesto come funzionava il sistema scolastico per l’iscrizione dei bambini: tutte domande di integrazione, con il desiderio di cominciare una nuova vita.

D. – L’impegno di Sant’Egidio rappresenta un esempio virtuoso di come possono essere attivati i corridoi umanitari. Questa esperienza con i profughi siriani sarà ripetuta?

R. – Sì, certo sarà ripetuta. Noi abbiamo già attivo un protocollo di intesa con il governo italiano, con il Ministero degli esteri e il Ministero degli Interni, per far arrivare in Italia mille persone dal Libano, dal Marocco e dall’Etiopia. Questo protocollo noi lo abbiamo sottoscritto insieme alla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e con la Tavola Valdese: è un progetto ecumenico. Allo stato attuale, sono già arrivati in Italia 100 siriani. Fra qualche giorno, arriveranno i prossimi 100 dal Libano, sempre siriani… Noi abbiamo tutte le intenzioni di continuare e anche di dimostrare che è possibile far entrare delle persone in sicurezza – non affrontando cioè quei terribili viaggi che portano la morte – e questa sicurezza è garantita anche ai cittadini europei, perché queste persone – prima di arrivare in Italia – vengono controllate più volte dalle autorità italiane, dalle autorità – per esempio, in questo caso, libanesi – e poi vengono ricontrollate quando arrivano in Italia. Quindi, è anche una forma di sicurezza per gli europei e garantisce un inserimento pensato e sicuro. Quello che noi vogliamo dire è che è possibile: è possibile anche un’altra vita.








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