2016-04-18 14:11:00

Vegliò: dopo Lesbo l'Europa ascolti, gesti del Papa impressionano


Una nuova tragedia colpisce il Mar Mediterraneo, a pochi giorni dalla visita di Papa Francesco al campo profughi di Lesbo. L’immigrazione rimane quindi, come ha detto il Pontefice, “una questione umanitaria”. Un concetto ribadito dal cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, intervistato da Fabio Colagrande:

R. – Purtroppo incomincia di nuovo il martirio nel Mediterraneo. Una volta sbarrata la via dei Balcani, i flussi ritornano sul Mediterraneo. E in questo mare, purtroppo, siamo abituati a questa tragica realtà: che molti partano e non tutti arrivino. Quest’ultima notizia lo sta proprio a dimostrare. Di fronte a quello che avviene, che cosa si può fare? E’ una grande tristezza. Pregare, sperando che l’Europa li riceva con più generosità. Questi, però, già nel venire muoiono nel Mediterraneo. Poveretti! Succubi e soprattutto vittime di criminali in questi barconi indecenti, che non dovrebbero nemmeno navigare da soli e che vengono invece caricati di povere persone.

D. – Qual è stato, secondo lei, il significato più forte, più importante di quello che è avvenuto sabato a Lesbo, di questa visita del Papa?

R. – Io credo come sempre, quando il Papa si muove, che sia un segno concreto che lui vuole dare a chi è al mondo. Cosa vuol dire questo viaggio a Lesbo? Cosa voleva dire il viaggio a Lampedusa? Vuole dire che la Chiesa è vicina ai migranti, ai rifugiati, che non li lascia mai soli. Questi gesti, queste azioni impressionano, perché è l’unico leader al mondo – posso dire – che può fare queste cose. Non solo che può fare, ma che fa! Poi ci riporta in primo piano il fenomeno migratorio. Come lo risolviamo? Un altro aspetto che il Papa ha sottolineato, non trattandosi di cose, di pacchi postali, di numeri, ma di persone, è che queste soluzioni devono garantire sempre il rispetto, la tutela e la dignità di quelli che, poveretti, sono costretti a immigrare.

D. – Francesco ha spiegato che il suo è stato un viaggio umanitario. Eppure molti ci leggono anche un segno politico forte nei confronti dell’Europa. E’ giusta questa lettura?

R. – Certo che è un atto umanitario. Quando il Papa fa questi appelli, fa questi gesti, li fa soprattutto a favore di quelli che soffrono, dell’umanità sofferente. Che poi questo suo viaggio, queste sue parole, acquistino anche un significato politico, mi sembra così normale e anche così giusto. Certo, in questo momento è un segno, credo, preciso, non solo per il mondo intero, che sia più sensibile al mondo delle migrazioni, ma proprio diretto all’Europa: è come una scossa all’Europa. Nel campo profughi di Lesbo, il Papa ha detto che c’è da piangere, perché ci sono troppi ghetti, e ha detto di gestire questa catastrofe, che è la più grande e la più grave dalla Seconda Guerra Mondiale. Io ricordo quando qualche anno fa andò a Lampedusa e l’Europa era assente, si può dire. Dopo Lampedusa, anche grazie all’azione dell’Italia, l’Europa ha incominciato a pensare più concretamente a questo problema delle migrazioni. Ora, con Lesbo, ancora di più, perché è di nuovo un segno forte. Speriamo che chi deve ascoltare, ascolti.

D. – Proprio in queste ore, a Bruxelles, viene preso in esame dai ministri della Difesa e degli Esteri dei Paesi dell’UE un piano italiano per rivedere un po’ l’approccio alle politiche migratorie, soprattutto rivedere l’accordo tra Unione Europea e Turchia. C’è molto da fare ancora…

R. – Forse l’Europa si sente più cosciente di dover agire con responsabilità. Quando si pensa, però, a quello che è stato fatto, viene un po’ di malinconia. L’anno scorso i Paesi europei si impegnarono a prendere 160 mila profughi, un tanto per Paese. Io credo che ne abbiano presi poche decine, meno di 100. Questa è una cosa che fa pensare. Il fatto, però, che si riuniscano, che discutano, è già molto positivo: meglio discutere di una cosa, che non parlarne proprio.

D. – Infine, ha colpito molto il gesto del Pontefice, che ha scelto di portare con sé da Lesbo tre famiglie musulmane. Cosa ha voluto dimostrare con questo segno concreto il Papa?

R. – Ha voluto dimostrare che i problemi non si risolvono con le chiacchiere, non si risolvono con le parole, che servono e sono necessarie, ma è anche bello quando uno dalla teoria passa all’azione. Che siano musulmani o cristiani, in questo momento non ha particolare importanza.








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