2016-04-20 14:27:00

Mons. Viganò: muri per i migranti sono la fine della comunità europea


Un viaggio triste quello del Papa a Lesbo sabato scorso, come lui stesso ha detto in aereo nel viaggio di andata nell’isola greca. La sua vicinanza umana a profughi e migranti,  l’appello all’Unione Europea per politiche di accoglienza e integrazione e non di chiusura.  Una realtà di sofferenza che tuttavia continua a colpire il cuore di Papa Francesco, come racconta mons. Dario Edoardo Viganò, Prefetto della Segreteria per la Comunicazione vaticana, al microfono di Luca Collodi:

R. – Sì, è uno stato d’animo molto importante. Il Papa ha vissuto molto intensamente questo viaggio a Lesbo, soprattutto nel campo dei rifugiati. Un campo che era stato sistemato, ovviamente, dalle autorità poche ore prima, per dare un’apparenza di accoglienza. E’ un campo, però, con un doppio muro, con il filo spinato. Questa gente che scappa dalla guerra ha incontrato semplicemente un luogo di contenimento, ma non una speranza. Per esempio, c’è un episodio, forse, che dice bene lo stato d’animo che il Papa ha vissuto e che viene espresso dalle tre famiglie che ha portato a casa, secondo gli accordi con il governo greco, con il governo italiano e con quello della Città del Vaticano. Prima che il Papa salisse sull’aereo per ritornare, queste tre famiglie sono state fatte salire con la loro piccola borsa in aereo - perché lo hanno saputo la sera prima che sarebbero partite -, per capire dove si sarebbero sedute. Hanno visto l’aereo, hanno depositato le loro poche cose e poi sono state invitate a scendere, per risalire poi col Papa. Non volevano più scendere. Perché? Perché avevano paura di essere lasciate giù. Questi rifugiati vivono continuamente in una grande speranza, che giorno dopo giorno cresce, di trovare una situazione di pace. Stanno scappando, infatti, dalla guerra, non dimentichiamolo. Quando il Papa parla dell’odore acre della guerra, si riferisce al fatto che queste persone, molte di queste, hanno avuto la moglie uccisa, sgozzata; il marito ucciso; i figli ammazzati… Scappano, quindi, da una situazione di guerra; cercano una speranza; intravedono questa speranza e poi però sprofondano nuovamente in una delusione. Questo alternarsi della vita, tra una speranza che si costruisce e una delusione profonda che si prova, fa sì appunto che nasca naturale questo atteggiamento: salire su un aereo e non volere scendere. Ecco, il Papa ha vissuto questo. Ha toccato con mano un’umanità disperata due volte: disperata perché fugge dalla guerra e disperata perché di fronte all’Europa non sa trovare una porta aperta, uno spiraglio possibile.

D. – C'è un altro fronte all’interno degli Stati, quello politico per l’accoglienza…

R. - Ma io credo che se la gestione dei rifugiati è una gestione demagogica per ergere nuovi muri, nuove barriere, è la fine della Comunità Europea. L’Europa, cioè, si definisce come comunità, ma se non c’è questa esperienza di una condivisione, di una condivisione politica e di una condivisione anche delle problematiche che arrivano in Europa, vuol dire che l’Europa è proprio fallita. In fondo, il Papa, giustamente, mesi fa, ha detto: “Dove sono i grandi padri costituenti?” C’è necessità di politici che, nuovamente, ritornino a quei grandi pensieri, anche a quei grandi sogni di una Comunità Europea. Io credo che l’Europa teme… Questi migranti, infatti, vengono in Italia, perché sono le coste più vicine, ma non hanno nessun interesse di stare in Italia: i migranti cercano l’Europa. Molti di quelli che erano a Lesbo avevano pezzi di famiglia già in Austria, in Germania, e così via. Da questo punto di vista, quindi, c’è una paura, che invece dovrebbe essere gestita in maniera europea come una grande risorsa, una grande chance. Come ha detto il Papa, appunto: “Voi non siete un peso, ma siete un dono”. Pensiamo, ad esempio, a quello che emerge sulle pagine dei giornali oggi circa le pensioni. Qui c’è un problema molto grave. La generazione degli anni ’80 andrà in pensione a 75 anni. Perché? Perché c’è un problema di forza-lavoro. Ovviamente questi migranti possono rappresentare davvero una grande chance. Questo, però, vuol dire politiche di integrazione reale, vuol dire politiche di lavoro che abbiano una concretezza. Mi sembra che sia una politica molto tattica, ma poco strategica quella dell’Europa in questo periodo.








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