2016-04-24 10:30:00

Giornata del martirio armeno. Sandri: viaggio del Papa sarà profetico


Si celebra questa domenica l’anniversario del ‘Metz Yeghern’, il Grande Male, come viene indicato dagli armeni: l’orribile massacro del 1915 di un milione e mezzo di armeni. La Giornata della Memoria armena ha portato in piazza, a Roma, sia armeni che italiani. Ieri pomeriggio, al Pontificio Collegio Armeno, si è svolta una veglia di preghiera con il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

R. – Fare memoria è sempre un cammino che dobbiamo fare per ricordare questi fatti terribili della storia umana, che siano allo stesso tempo periodo di purificazione per poter contemplare la gravità, la profondità della malizia del cuore umano, e non per restare, con questa memoria, aggrappati a un passato, ma per aprirci a un futuro di grandi possibilità di riconciliazione, di convivenza, un futuro migliore. Io credo che, per questo, sia un fatto obbligatorio fare memoria del passato di gravissime ingiurie alla dignità umana, come sono le guerre e tutte le altre persecuzioni e ingiustizie contro gli esseri umani, ma per rinascere a una possibilità nuova, a una speranza nuova.

D. – Ancora oggi, il ricordo del martirio armeno, però, è quanto mai è portatore di gravi e importanti tensioni …

R. – Sì. Certamente, ci sono anche le ferite che rimangono dopo questi terribili fatti. Adesso noi tutti siamo anche sensibili alla tragedia e ai morti, alle vittime di questa realtà del Nagorno Karabakh e speriamo che si possa, con l’aiuto della comunità internazionale, trovare una forma di soluzione giusta e permanente per un conflitto che può portare gravissime conseguenze ai due popoli, specialmente per l’Armenia, Paese così caro alla Chiesa cattolica, il primo Paese cristiano. Speriamo che tutto questo non si trasformi in una guerra tra religioni e tra posizioni così diverse. Perciò, io sostengo che l’intervento di quelli che possono aiutare, e che devono aiutare, porti a fare di queste soluzioni qualcosa di permanente, perché si evitino questi scontri che si aggiungono a tutte le sofferenze nella storia del popolo armeno – nel caso dell’Armenia – e che si aggiungono a tutta questa specie di ondata di guerre di popoli e di religioni che ledono la convivenza umana.

D. – A giugno, il Papa si recherà in Armenia. Questo è un viaggio molto sentito da Francesco ed è una visita che ha degli aspetti piuttosto complicati…

R. – Di per sé, è una visita al Caucaso fatta in due tappe: la tappa dell’Armenia e poi la tappa della Georgia e dell’Azerbaigian, così è stato annunciato dalla Santa Sede. Ma io vedo in questo viaggio del Papa, come in tutti i viaggi che ha fatto, questa dimensione intanto di vicinanza, questa dimensione dell’incontro. Lui troverà, per esempio in Armenia, in particolare la Chiesa apostolica armena, la Chiesa che ha aperto le porte anche alla Chiesa cattolica, la Chiesa che ha ricevuto San Giovanni Paolo II, che ha dato la possibilità di esistere, anche, perché della Chiesa cattolica lì non c’era nulla, dopo il comunismo. E allo stesso tempo, incontrerà la popolazione e potrà fare, in realtà, tutto quello che lui fa nei suoi viaggi: incontrare, essere vicino, specialmente a tutti quelli che soffrono. Allo stesso tempo, è l’incontro, la visita, che si fa profezia di un mondo migliore, di un mondo che supera le divisioni, che supera queste dannosissime realtà che ledono la vita umana. C’è tanta gente che soffre e sono soprattutto i più deboli: le donne, i bambini e gli anziani, sono loro le vittime degli esodi, degli scontri, sono i profughi. E’ tutto ciò che vediamo giorno dopo giorno e davanti al quale il Papa fa dei gesti come la visita a Lesbo – ma l’aveva fatto già a Lampedusa – portando lì un grido: questo non è compatibile con la dignità della persona umana! Non si può far sì che tutto questo sia subordinato ad altri interessi o ad altri progetti di progresso, di benessere per l’umanità, che vanno a colpire queste popolazioni perseguitate che devono fuggire a causa delle guerre e di tutti gli scontri che conosciamo nel Medio Oriente. Quindi, io vedo, nel viaggio del Papa, queste due dimensioni che per me sono anche arricchite da altre qualità della vita del Papa, ma soprattutto vedo in lui – come vescovo, come pastore – colui che incontra, che viene ad aprire il cuore e le mani a chi ha bisogno e che, allo stesso tempo, annuncia profeticamente un futuro che tutti noi dovremmo capire, che tutti noi dovremmo far diventare realtà, secondo le nostre possibilità e secondo la propria responsabilità. Io sono felicissimo che questa promessa del Papa si faccia realtà per tutti loro e direi anche per tutto il popolo armeno della diaspora sarebbe una cosa magnifica che questo messaggio del Papa portasse a tutti questa grandezza d’animo, questa magnanimità, per vedere un’Armenia del futuro aperta, portatrice di tutti i suoi valori alla comunità internazionale. Mi auguro che questo viaggio annunciato del Santo Padre sia portatore di tanto bene sia per la carissima Armenia sia per gli altri due Paesi come la Georgia, che anche è un Paese cristiano, e anche per l’Azerbaigian. Il Caucaso dev’essere un ponte, come dice il Papa accennando ad altre realtà, non un muro di divisioni e di guerre, ma un ponte che unisca l’Oriente e l’Occidente.








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