2016-04-27 08:30:00

Pakistan: aumentano donne cristiane forzate a convertirsi all'islam


In Pakistan sono oltre mille, ogni anno, le ragazze rapite e convertite forzatamente all'islam. Per la maggior parte sono cristiane o appartenenti ad altre minoranze religiose, le più vulnerabili e indifese. L'ultima è una ragazza di 23 anni, rapita il 14 aprile da due musulmani. Al microfono di Valentina Onori, il prof. Mobeen Shahiddocente alla Pontificia università lateranense e fondatore dell'Associazione dei pachistani cristiani in Italia, spiega il preoccupante fenomeno che avviene nel silenzio dei media:

R. – La situazione delle ragazze che appartengono alle minoranze religiose, in particolare cristiane ed indù, in Pakistan, è pessima, perché questi casi stanno ultimamente crescendo in maniera imprevedibile. Succede, in particolare, con le minoranze religiose, perché sono la parte più debole della società, e con le donne ancora di più. Noi, come “Associazione pakistani cristiani”, stiamo assistendo 200 bambine, alcune delle quali sono state sostenute nell’istruzione e poi nell’inserimento sociale dopo questi casi. Ma non è che una goccia nell’oceano di ignoranza e di povertà presente in Pakistan. La legge della sharia prevede, a livello costituzionale, delle discriminazioni forti, solo perché sono donne.

D. – Quali sono i dati attendibili, includendo anche il fatto che la polizia locale rappresenta a volte un ulteriore ostacolo nella registrazione delle denunce?

R. – Mille è dire poco, perché solo l’anno scorso ci sono stati solo 1.200 casi registrati, ma sono solamente la punta dell’iceberg. La polizia crea ostacoli, perché spesso riceve denaro da parte dei criminali. Ma, oltre a questo, c’è un'implicazione religiosa anche perché, se si tratta di una ragazza cristiana o indù, la polizia osserva solamente e resta indifferente.

D. – Quali sono i mezzi che hanno a loro disposizione le famiglie cristiane per poter affrontare una situazione del genere?

R. – Le famiglie cristiane, purtroppo, oltre alla legge, che interpellano quando è possibile, non hanno altri mezzi, tranne quello di andare dal proprio parroco per chiedere assistenza. Il parroco, normalmente, essendo una figura di rappresentanza religiosa e sociale, cerca di aiutare in questi casi. Purtroppo, però, anche le vie legali non sono molto semplici. La polizia, infatti, spesso pretende di essere pagata.

D. – Quindi, la soluzione quale sarebbe?

R. – La soluzione è raccontare la propria situazione a livello internazionale, tramite i media, perché tutto questo diventi pubblico e non rimanga solo privato e messo spesso nel dimenticatoio.

D. - Ha ultime notizie di Asia Bibi?

R. – Noi cristiani del Pakistan siamo preoccupati, perché si teme che qualsiasi fanatico in carcere o qualsiasi poliziotto del penitenziario possano ucciderla per accontentare qualche fondamentalista islamico che incita all’odio. Lei è dimenticata, senza assistenza e senza qualsiasi garanzia per la sua vita. Si spera che la sua innocenza possa essere provata. Spero che anche l’Onu possa intervenire, non solo nel caso di Asia Bibi ma anche per tante altre “Asia Bibi” che sono in carcere, accusate di abuso della legge sulla blasfemia.

D. – Cosa sta accadendo in Pakistan nella comunità cristiana?

R. – Sta cercando di rivolgersi alla comunità internazionale tramite organismi o ong per denunciare: la denuncia è il primo passo in questa direzione.








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