2016-04-27 12:24:00

Rientra Riek Machar, il Sud Sudan spera in un futuro di pace


Dopo due anni e mezzo di guerra civile, che ha provocato migliaia di vittime e oltre due milioni di profughi e sfollati, il Sud Sudan spera di riprendere la via della riconciliazione. L’ex capo dei ribelli antigovernativi, Riek Machar, è rientrato ieri a Juba e ha giurato per tornare ad essere vicepresidente del Paese, carica che aveva ricoperto fino allo scoppio dei combattimenti, nel dicembre 2013. Nell’agosto scorso era stato siglato ad Addis Abeba, in Etiopia, un’intesa di pace in tal senso, con l’accordo del presidente Salva Kiir. Come leggere dunque il ritorno agli incarichi istituzionali di Machar? Giada Aquilino lo ha chiesto ad Enrica Valentini, direttrice della Rete delle Radio Cattoliche del Paese:

R. - È sicuramente un passo avanti nella messa in pratica dell’accordo di pace firmato in agosto. Tra i punti dell’intesa c’era appunto che lui ritornasse, venisse reintegrato come vicepresidente e che si desse poi origine ad governo di transizione e di unità in cui i membri delle diverse parti in conflitto fossero rappresentati, per poi guidare il Paese verso future elezioni.

D. - Quali sono le due parti in conflitto?

R. - La parte del presidente Salva Kiir e la fazione di Riek Machar.

D. - Cosa ha scatenato le tensioni e le violenze ormai due anni e mezzo fa?

R. - Il desiderio di entrambi di arrivare al potere e di governare il Paese.

D. - Su queste divergenze si sono innescati anche motivi etnici?

R. - Sì, essendo appartenenti a gruppi etnici diversi, il gruppo Dinka e il gruppo Nuer. L’elemento tribale è stato utilizzato e in parte manipolato per avere consensi.

D. - È possibile che il presidente Salva Kiir e il vicepresidente Riek Machar adesso mettano da parte le tensioni e riescano laddove non erano riusciti negli ultimi due anni e mezzo?

R. - È difficile da dire. C’è tanta pressione dall’interno e dall’esterno. Nel discorso fatto ieri, al momento dell’insediamento di Machar, il presidente Salva Kiir ha detto che entrambi sono intenzionati a risolvere le questioni rimaste aperte dopo il conflitto e a fare il possibile per migliorare le condizioni della popolazione. Da un lato c’è poi la pressione della comunità internazionale, perché in qualche modo si facciano dei passi avanti, dall’altro lato le risorse del Paese sono veramente al limite, quindi anche mettere in piedi e costruire qualcosa in questo momento di forte crisi economica diventa difficile.

D. - Le risorse economiche del Paese – ha detto – sono al limite. Eppure potenzialmente il Sud Sudan potrebbe essere un Paese molto ricco…

R. - Sì, c’è di tutto: dalla terra in sé, che quindi permetterebbe di coltivare su grande scala, al petrolio. Già ai tempi dei conflitti tra nord e sud, l’elemento delle risorse è stato sempre stato chiamato in causa.

D. - Nonostante l’accordo di agosto le violenze non si sono mai fermate. Quali sono le zone più critiche? Qual è la situazione per gli sfollati ed i profughi?

R. - Nella parte nord del Paese si è sempre combattuto, negli Stati di Unity, Upper Nile, Jonglei. La situazione per la popolazione è molto difficile, anche se in alcune zone si stanno riaprendo i mercati e in certe aree magari si riesce a reperire risorse locali, coltivando in loco. Ma la situazione a livello stradale non è migliorata, quindi anche far arrivare beni di consumo in certe zone è veramente difficoltoso. Nei campi di accoglienza ci sono sempre molte organizzazioni che lavorano, quindi un minimo di assistenza c’è. Dall’altro lato, durante tutto questo periodo in cui si era firmato l’accordo ma poco di pratico era stato fatto, alcune organizzazioni o alcuni governi hanno limitato i fondi vincolandoli all’attuazione dell’accordo. Essendoci crisi economica comunque i prezzi sono altissimi e c’è difficoltà ad ottenere soldi dalle banche, quindi anche le organizzazioni più grandi fanno fatica a pagare i fornitori.

D. - La Chiesa da sempre è impegnata anche nel soccorso alla popolazione, ai profughi, agli sfollati. Com’è mobilitata in questo momento?

R. – Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, tramite la Caritas, ci sono vari progetti sia a livello di assistenza pratica, ad esempio con attrezzi per l’agricoltura, sia con cibo ed altri beni. In zone dove magari non è possibile inviare materiale vengono mandati fondi che la gente può spendere per le proprie necessità. E, ovviamente, ci sono tanti momenti di preghiera dedicati alla pace.








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