2016-04-28 14:45:00

Is: arresti in Italia. Giannuli: miglior difesa è prevenzione


La Procura di Milano ha emesso stamani sei ordini di arresto per sospette attività terroristiche collegate al sedicente Stato islamico. Gli arrestati di cui due latitanti - secondo gli inquirenti - stavano pianificando un attentato a Roma. Si tratta di Mohamed Koraichi marocchino e della moglie italiana Alice Brignoli, scomparsi circa un anno fa dalla provincia di Lecco, della sorella di lui, oltre ad un’altra coppia di marocchini ed un altro connazionale della provincia di Lecco e Varese. La notizia riapre timori sulla presenza jihadista in Italia. Roberta Gisotti ha intervistato Aldo Giannuli, docente di Storia del mondo contemporaneo all’Università di Milano, scrittore e esperto di intelligence.

D. – Dott. Giannuli, sono timori fondati?

R. – Direi che sono timori per certi versi scontati. E’ ovvio che su cinque milioni di islamici presenti in Europa, possa esserci qualche centinaio di islamisti radicali; è un calcolo scontato, direi. E, attenzione, anche da noi c’è il fenomeno delle conversioni all’islam: la Brignoli si è convertita all’islam nel 2008.

D. – Si è parlato anche di rischi di affiliazione nelle carceri…

R. – Anche questo è scontato. Se facciamo caso, per esempio, ai fratelli Kouachi dell’attentato a "Charlie Hebdo", al cecchino di Tolosa… è tutta gente che si è radicalizzata nelle carceri. Anche al-Zarqawi, il leader di Al Qaeda in Iraq, che poi diventerà l’Is, anche lui in realtà si è politicizzato nelle carceri. Il che la dice lunga su quanto sia inadeguato non solo il nostro sistema italiano, europeo, ma in generale il sistema detentivo, che finisce per produrre più terroristi di quanti ne detenga. Dovremmo pensare a questo.

D. – La miglior difesa non è certo una paura diffusa a livello popolare, ma forse è il rafforzamento proprio dell’indagine e del lavoro dell’Intelligence in particolare…

R. – La prima cosa è la percezione esatta del rischio. I morti per incidenti sul lavoro sono da nove a dodici volte superiori ai morti per terrorismo in Europa. Eppure, non mi pare ci sia alcun allarme sociale per i morti sul lavoro. C’è, invece, sul terrorismo. Perché? Perché c’è una reazione che tende a sopravvalutare il pericolo. Il pericolo c’è, va razionalizzato e va combattuto non solo sul piano della repressione, ma sul piano della prevenzione. La prima cosa da fare è integrare i nostri immigrati, evitare che si formino ghetti, come quello per esempio di Moleenbeek, che peraltro è un ghetto di lusso, o della banlieue parigina, che diventano delle incubatrici di esasperazione sociale. Poi c’è il lavoro di Intelligence, sul quale, temo, siamo in forte ritardo. Quello di oggi è un successo di cui possiamo compiacerci. Se ancora oggi però due pm come quelli che hanno curato l’operazione, che sono due persone che sanno fare il loro mestiere e anche bene, dicono: “Ci riproponiamo da questa cattura di saperne di più sulla catena di comando attraverso cui si reclutano gli jihadisti”, vuol dire che questo non è stato ancora fatto, ed è grave. E’ grave che in questo si stia ancora all’inizio. Dobbiamo dedicare molti più sforzi a questo, per capire la struttura organizzativa dell’Is e il fenomeno dei foreign fighters.








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