2016-04-28 20:05:00

Terrorismo, arresti. Obiettivi: Vaticano e ambasciata israeliana


Vasta operazione nel nord Italia, in Lombardia nei confronti di sei presunti estremisti islamici affilati al sedicente Stato islamico. E’  la prima volta che vengono intercettati messaggi personali del Califfato, diretti a persone sul territorio italiano, con l’esplicito incitamento a compiere atti di terrorismo. Allarme elevatissimo per l’Italia, scrive il gip nell’ordinanza di custodia cautelare. Francesca Sabatinelli:

Lecco, Varese, Milano: il triangolo jihadista. E’ questa l’area delle ordinanze di custodia cautelare per terrorismo a sei persone, marocchini, alcuni con cittadinanza italiana, due di loro latitanti perché foreign fighters in Siria.  Nel mirino dei previsti attacchi l’ambasciata di Israele a Roma e il Vaticano. L'accusa, per tutti, è di "partecipazione ad associazione con finalità di terrorismo internazionale".  Tra gli arrestati una coppia residente a Lecco che stava organizzando un viaggio per raggiungere la Siria, assieme ai due figlioletti, lui è un kickboxer di alto livello, che saliva normalmente sul ring con la maglietta nera di Daesh. In manette anche la sorella di Mohamed Koraichi, partito lo scorso anno per la Siria con la moglie italiana e i tre figli maschi e ora nelle file dello stato islamico, anche loro due nel mirino dei gip. E’ stato proprio Koraichi ad aver inviato dalla Siria, ad uno degli arrestati, messaggi con il preciso ordine di colpire l’Italia. “Estremo allarme”, spiegano gli inquirenti, destano i continui riferimenti all’Italia come prossimo obiettivo. A confermare che ci fosse il “serio intento di colpire l’Italia”, è stato il ministro dell’Interno Angelino Alfano.

La notizia riapre timori sulla presenza jihadista in Italia. Roberta Gisotti ha intervistato Aldo Giannuli, docente di Storia del mondo contemporaneo all’Università di Milano, scrittore e esperto di intelligence.

D. – Dott. Giannuli, sono timori fondati?

R. – Direi che sono timori per certi versi scontati. E’ ovvio che su cinque milioni di islamici presenti in Europa, possa esserci qualche centinaio di islamisti radicali; è un calcolo scontato, direi. E, attenzione, anche da noi c’è il fenomeno delle conversioni all’islam: la Brignoli si è convertita all’islam nel 2008.

D. – Si è parlato anche di rischi di affiliazione nelle carceri…

R. – Anche questo è scontato. Se facciamo caso, per esempio, ai fratelli Kouachi dell’attentato a "Charlie Hebdo", al cecchino di Tolosa… è tutta gente che si è radicalizzata nelle carceri. Anche al-Zarqawi, il leader di Al Qaeda in Iraq, che poi diventerà l’Is, anche lui in realtà si è politicizzato nelle carceri. Il che la dice lunga su quanto sia inadeguato non solo il nostro sistema italiano, europeo, ma in generale il sistema detentivo, che finisce per produrre più terroristi di quanti ne detenga. Dovremmo pensare a questo.

D. – La miglior difesa non è certo una paura diffusa a livello popolare, ma forse è il rafforzamento proprio dell’indagine e del lavoro dell’Intelligence in particolare…

R. – La prima cosa è la percezione esatta del rischio. I morti per incidenti sul lavoro sono da nove a dodici volte superiori ai morti per terrorismo in Europa. Eppure, non mi pare ci sia alcun allarme sociale per i morti sul lavoro. C’è, invece, sul terrorismo. Perché? Perché c’è una reazione che tende a sopravvalutare il pericolo. Il pericolo c’è, va razionalizzato e va combattuto non solo sul piano della repressione, ma sul piano della prevenzione. La prima cosa da fare è integrare i nostri immigrati, evitare che si formino ghetti, come quello per esempio di Moleenbeek, che peraltro è un ghetto di lusso, o della banlieue parigina, che diventano delle incubatrici di esasperazione sociale. Poi c’è il lavoro di Intelligence, sul quale, temo, siamo in forte ritardo. Quello di oggi è un successo di cui possiamo compiacerci. Se ancora oggi però due pm come quelli che hanno curato l’operazione, che sono due persone che sanno fare il loro mestiere e anche bene, dicono: “Ci riproponiamo da questa cattura di saperne di più sulla catena di comando attraverso cui si reclutano gli jihadisti”, vuol dire che questo non è stato ancora fatto, ed è grave. E’ grave che in questo si stia ancora all’inizio. Dobbiamo dedicare molti più sforzi a questo, per capire la struttura organizzativa dell’Is e il fenomeno dei foreign fighters.

 








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