2016-04-29 13:58:00

Ong: "L'accordo sul Ttip è una minaccia per l'agricoltura europea"


È stato pubblicato in 17 Paesi europei il rapporto sui rischi del T.T.I.P, il Trattato transatlantico per liberalizzare gli scambi tra Unione Europea e Stati Uniti nel settore agroalimentare. Il dossier è stato redatto dalla Ong, Friends of the Earth Europe, in collaborazione per l’Italia con l’associazione Fairwatch. L’obiettivo è far conoscere i rischi per la salute pubblica e i danni economici che potrebbero essere provocati dall'eventuale ratifica del Trattato. Per informare e discutere sul tema, i rappresentanti della campagna Stop TTIP saranno in piazza a Roma il 7 maggio con le associazioni dei produttori, agricoltori e consumatori. Daniele Gargagliano ha chiesto a Monica Di Sisto, dell’associazione Fairwatch, di spiegare quali effetti porterà l’accordo di partenariato transatlantico:

R. – Il Trattato si dice essere un trattato “commerciale”, quindi dovrebbe facilitare il commercio. In realtà, le tasse sulle importazioni e le esportazioni di prodotti che questo riduce sono veramente poche: la maggior parte dei cosiddetti benefici del Trattato dovrebbe arrivare dal cambiamento delle regole che ci differenziano dagli Stati Uniti, sia a livello di produzione sia di erogazione di servizi; quindi, per dirla in maniera molto semplice, il modo in cui noi produciamo e comunichiamo i contenuti dei prodotti e dei servizi. Significa, ad esempio, che noi in Europa controlliamo i prodotti agroalimentari dal campo alla forchetta, mentre invece negli Stati Uniti è a carico del consumatore stabilire se un prodotto gli abbia o meno fatto male. Quindi per i consumatori cambia molto, perché ad esempio una delle cosiddette “barriere al commercio”, che i produttori americani contestano all’Europa, sono le etichette parlanti: cioè loro non hanno quel tipo di accertamento della qualità dei prodotti, passaggio per passaggio della produzione, lo considerano un costo, e per questo chiedono di risolvere attraverso il Ttip.

D. – Rispettare le regole comunitarie costerebbe caro ai produttori europei, costretti a subire prezzi più bassi della concorrenza americana…

R. – Dei prodotti che costano meno a chi li produce potrebbero rappresentare una  concorrenza sleale sul nostro mercato, proprio perché il costo del lavoro negli Stati Uniti, e in particolare nel settore agroalimentare, è molto più basso di quello europeo. Tutte le regole che quelle aziende non sono tenute a rispettare, soprattutto negli allevamenti, nei campi – e pensiamo ai pesticidi, ai fitofarmaci o agli ormoni della crescita – fanno sì che ai nostri produttori costi di più fare della carne buona, zappare molto di più il campo perché sia più sano. Tutte queste regole potrebbero cambiare a causa del Ttip, però ciò significherebbe in Europa l’arrivo di un 160-180% in più di prodotti a marchio americano, che ridurrebbe non soltanto lo spazio di mercato per i nostri produttori – 2/3 dei quali esportano al massimo in Europa – ma soprattutto gli scambi tra i Paesi europei.

D. – Questo Trattato favorirebbe non solo i produttori americani, ma anche una parte di quelli italiani o europei…

R. – Noi li chiamiamo, in modo un po’ colloquiale, i “furbetti del ‘Made in Italy’”: ossia quelli che continuano a fare prodotti che spacciano per italiani, ma che in realtà sono fatti di materie prime che parlano tutte le lingue del mondo perché costano di meno; ecco, questi ci guadagnerebbero perché avrebbero più materia prima a buon mercato da trasformare. E, se passassero anche le richieste americane in caso di etichettatura, potrebbero addirittura cominciare a scriverlo meno - già lo scrivono poco - potremmo continuare quindi, come è già successo in questi anni, a pagare tanto, il giusto secondo noi, alcuni prodotti pensando che siano completamente prodotti in Italia, e invece ci troveremmo spesso a comprare dei prodotti che contengono sempre meno Italia. Il settore agroalimentare è uno dei pochi che ancora cresce, e soprattutto ha quell’agricoltura di base che non solo vende prodotti, ma, per esempio, conserva bene il nostro territorio e quando lo coltiva bene.

D. – Ci sarebbe un rischio di abbassare gli standard sulla sicurezza alimentare, e quindi un danno per la salute dei consumatori?

R. – Gli Stati Uniti ci stanno chiedendo di rinunciare, soprattutto nel settore degli allevamenti, ma anche in quello degli Ogm, e nei vari settori dei pesticidi e degli insetticidi, a tutte quelle regole restrittive che noi abbiamo introdotto fino ad oggi per proteggere la salute dei consumatori. Dicono che non servono e che non c’è abbastanza scienza per dimostrare che sono valide e che servono. Per questo motivo, l’Europa per esempio ha rallentato l’esame di 31 pesticidi che doveva affrontare già da un anno. Infatti, prima che il Ttip venga approvato, si potrebbe decidere una regola più restrittiva con il rischio poi di essere colpiti da una causa commerciale per questo motivo.

D. – Si parla anche della possibilità di introdurre in Europa l’uso della ractopamina: un ormone della crescita somministrato in larga parte ai suini e ai bovini americani, ma vietato dalle regole comunitarie…

R. – Sì, la ractopamina è una specie di polvere magica, che consente ai maiali di lievitare in assenza di cibo. Peraltro si è visto e ci anche sono studi europei e dell’Oms che la connettono all’infertilità maschile e al danneggiamento dei feti, e quindi anche a disabilità per i neonati. Per questo l’Europa ne discute da tanto tempo, e tiene l’ormone al bando: noi in Europa, nel Trattato di Maastricht, abbiamo inserito il principio di “precauzione”: quindi, se c’è un ragionevole dubbio che un composto, un elemento o un prodotto facciano male, ne possiamo prevedere il ritiro dal mercato. E ci piacerebbe mantenere questa legislazione protettiva della nostra salute.








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