2016-04-30 13:59:00

Iraq. Attentato Is a Baghdad contro un santuario sciita


È salito a 21 morti – 24 secondo alcune fonti – e 42 feriti il bilancio, ancora provvisorio, dell’attentato avvenuto questa mattina nella zona di Al Nahrahuan, periferia sudorientale di Baghdad, in Iraq. Obiettivo dell’attacco rivendicato dal sedicente Stato islamico, i pellegrini che si stavano recando sulla tomba dell’imam Moussa al-Kazim, uno dei santuari sciiti più venerati del Paese. Per un’analisi della situazione, Roberta Barbi ha parlato con il prof. Paolo Branca, docente di Storia dei Paesi arabi presso l’Università Cattolica di Milano:

R. – La cosa che fa impressione è il fatto che i nomi di questi luoghi colpiti sono nomi di santuari: come se da noi ogni poco scoppiasse una bomba a Lourdes, Fatima, alla Madonna di Pompei o a quella di Loreto. Quindi, fa molta impressione che si sia arrivati a questa lotta settaria, che tra l’altro va avanti da molto tempo e non si capisce neppure con quali vantaggi, perché non mi pare abbia portato nessuna delle due fazioni a una situazione di prevalenza sulle altre.

D. – Un attentato contro gli sciiti, la settimana scorsa una chiesa devastata nel centro di Mosul dai militanti del sedicente Stato islamico: si può parlare di una vera e propria strategia contro le minoranze?

R. – Sicuramente, questi Paesi sono sempre stati dei mosaici dal punto di vista etnico oltreché religioso. Non dimentichiamo i curdi o altre popolazioni che, pur essendo musulmane-sunnite, stanno passando i loro guai. La cosa preoccupante è che, approfittando di questo caos, sembra che ciascuno voglia pareggiare i conti, vendicarsi e ipotecare in qualche modo il futuro. Mi pare però che ci sia ben poco da parlare di futuro se si va avanti così, perché questi Paesi sono assolutamente distrutti, in ginocchio anche per quanto riguarda il sistema educativo, sanitario, è quasi impossibile sopravviverci.

D. – L’Iraq è ormai in preda a una fortissima crisi politica. Questo come influenzerà la lotta all’Is, che controlla ormai larghe porzioni di territorio a ovest e a nord di Baghdad?

R. – Purtroppo, vediamo che i Paesi stabili nell’area sono sempre meno e che il contagio sta diffondendosi, perché c’è anche la Libia, lo Yemen, e altri Paesi che sembravano stabili o che avessero ritrovato una calma, come l’Egitto, possiamo vedere invece che è una calma più apparente che sostanziale. Questo è veramente molto pericoloso, soprattutto per l’Europa nel medio-lungo periodo, in quanto il mondo arabo, nordafricano e mediorientale, è sempre stato anche un filtro rispetto alle migrazioni che venivano dall’Africa nera o dall’area caucasica e non si vede chi riesca a immaginare una strategia, perché questa devastazione finisca e si ritorni a una situazione di normalità, che dovrebbe essere a vantaggio di tutti.

D. – Attualmente, la comunità internazionale cosa sta facendo?

R. – Molto poco, mi sembra di poter dire. Infatti, abbiamo potuto constatare che qualcuno come Putin ha avuto via libera in un intervento piuttosto avventuroso che ha riportato la Russia nel Mediterraneo, cosa che non si vedeva dai tempi di Nasser. Quindi, ho paura che la fine del sistema bipolare – quindi la caduta dell’Unione Sovietica – non abbia aperto una fase con un’unica potenza regolatrice di tutto, ma abbia invece causato un caos diffuso, in cui mi pare, tra l’altro, che gli Stati Uniti stiano anche un po’ tirandosi indietro. Questo fa emergere ancora di più la debolezza della politica europeam in una zona così vicina e vitale per noi.








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