2016-05-06 13:48:00

Al Papa il Premio Carlo Magno: sogno un nuovo umanesimo europeo


Sogno un’Europa madre di nuove vite, che non consideri “delitto” un migrante”, che non scarti poveri, anziani e malati, che non pensi ai suoi cittadini come a numeri ma guardi i loro “volti”. In definitiva, a un’Europa “famiglia di popoli”. Con un discorso ampio e incisivo, Papa Francesco è tornato a parlare del Vecchio Continente nel giorno in cui le sue massime autorità sono giunte in Vaticano per conferirgli il “Premio Carlo Magno”, onorificenza assegnata a chi si distingue per impegno in favore della pace e dell’integrazione in Europa. Prima di incontrare i suoi ospiti nella Sala Regia del Palazzo Apostolico, il Papa ha ricevuto assieme il presidente del Parlamento europeo, Martin Shultz, il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, e il presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker. Subito dopo si è intrattenuto anche con la cancelliera tedesca, Angela Merkel. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Ha citato i Padri fondatori dell’Europa, ma difficilmente l’Europa che è e verrà potrà fare a meno di considerare anche il Papa venuto dall’America Latina come un suo padre ri-fondatore. Perché sulla visione, ricordata e definita insuperata, che fu dei vari Schumann, De Gasperi e altri, Papa Francesco ha innestato un suo grande “sogno”, anzi un mosaico di otto sogni che dà per risultato il ritratto di un’Europa nobile e lungimirante, un motore di civiltà degno della sua storia, e non l’“Europa nonna”, ripiegata su politiche interessate e di corto respiro, che affiora spesso dalla cronaca.

Europa, che ti è successo?
Il Premio istituito nel 1949 da una Associazione di Aquisgrana ha voluto insignire Francesco perché – recita la motivazione – è una “voce della coscienza” che con la sua “altissima autorità morale” rimanda agli ideali dei Padri fondatori. Il Papa riprende quel “progetto”, lo confronta con l’attualità e si pone anzitutto delle domande:

“Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?”.

Trasfusione della memoria
L’ammirazione per questi valori si scontra col presente. C’era nei Padri che immaginarono l’Europa unita “un’ardente desiderio” di novità, ma quegli ideali – considera Francesco – paiono “spenti”, adesso si “guarda al proprio utile”, si sta chiusi in “recinti particolari”. Invece, obietta, serve una rapida “trasfusione della memoria”:

“La trasfusione della memoria ci libera da quella tendenza attuale spesso più attraente di fabbricare in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati che potrebbero produrre ‘una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana’. A tal fine ci farà bene evocare i Padri fondatori dell’Europa. Essi seppero cercare strade alternative, innovative in un contesto segnato dalle ferite della guerra. Essi ebbero l’audacia non solo di sognare l’idea di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione”.

Accogliere non è elemosina
La sfida lanciata quando le macerie dell’ultima guerra erano ancora calde è diventata, sostiene Francesco, “nel quadro multipolare dei nostri giorni, quella di “aggiornare l’idea di Europa”. Per riuscirvi servono tre capacità, “integrare”, “dialogare”, “generare”:

“Siamo invitati a promuovere un’integrazione che trova nella solidarietà il modo in cui fare le cose, il modo in cui costruire la storia. Una solidarietà che non può mai essere confusa con l’elemosina, ma come generazione di opportunità perché tutti gli abitanti delle nostre città – e di tante altre città – possano sviluppare la loro vita con dignità. Il tempo ci sta insegnando che non basta il solo inserimento geografico delle persone, ma la sfida è una forte integrazione culturale".

Ai figli le armi del dialogo
No, ripete Francesco, a visioni riduzionistiche, che invece di “grandezza, ricchezza e bellezza”, generano “viltà, ristrettezza e brutalità”. No alle “colonizzazioni ideologiche”, perché “l’ampiezza dell’anima europea” si distingue non “nel contrapporsi ad altri, ma nel portare impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure”. E qui, afferma il Papa, deve spiccare la seconda capacità, quella basata su una parola da “ripetere – dice – fino a stancarci”, “dialogo”:

“La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione (...) Questa cultura del dialogo, che dovrebbe essere inserita in tutti i curriculi scolastici come asse trasversale delle discipline, aiuterà ad inculcare nelle giovani generazioni un modo di risolvere i conflitti diverso da quello a cui li stiamo abituando. Oggi ci urge poter realizzare “coalizioni” non più solamente militari o economiche ma culturali, educative, filosofiche, religiose”.

Ai giovani, la dignità del lavoro
Quando passa a enunciare la “capacità di generare”, Francesco usa le consuete parole di affettuosa premura che ha per i giovani, categoria che lotta con i fantasmi della disoccupazione e quindi di una strutturale precarietà. “Se vogliamo pensare le nostre società in un modo diverso – scandisce – abbiamo bisogno di creare posti di lavoro dignitoso e ben remunerato, specialmente per i nostri giovani”:

“Ciò richiede la ricerca di nuovi modelli economici più inclusivi ed equi, non orientati al servizio di pochi, ma al beneficio della gente e della società. E questo ci chiede il passaggio da un’economia liquida a un’economia sociale. Penso ad esempio all’economia sociale di mercato, incoraggiata anche dai miei Predecessori. Passare da un’economia che punta al reddito e al profitto in base alla speculazione e al prestito a interesse ad un’economia sociale che investa sulle persone creando posti di lavoro e qualificazione”.

“Sogno un’Europa…”
“Alla rinascita di un’Europa affaticata, ma ancora ricca di energie e di potenzialità, può e deve contribuire la Chiesa”, assicura il Papa. E lavorando così, prosegue, non solo si creeranno “nuove prospettive e opportunità concrete di integrazione e inclusione”, ma si “aprirà nuovamente la capacità di sognare quell’umanesimo di cui l’Europa è stata culla e sorgente”. E su questa parola, “umanesimo”, Francesco impernia le sue considerazioni finali, in un crescendo che impressiona soprattutto commisurato al prestigio politico e istituzionale di chi lo sta ascoltando:

“Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo (…) Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita”.

L’Europa delle famiglie e dei figli
“Sogno – insiste il Papa – un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto”:

“Sogno un’Europa, in cui essere migrante non è delitto, bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile”.

Diritti non finiscano in utopia
Sogno – conclude Francesco – un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni”:

“Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia”.

“Che il Santo Padre – conclude la menzione d’onore del Premio – ci dia il coraggio e la fiducia per fare nuovamente dell’Europa quel sogno che abbiamo osato sognare per oltre 60 anni”.








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