2016-05-07 06:30:00

I "medici della Savana" dal Papa, oggi in Vaticano il Cuamm


Saranno a migliaia oggi in udienza in Aula Paolo VI e tutti in nome dell’Africa. Da Papa Francesco arriveranno infatti volontari, cooperanti, sostenitori e amici di "Medici con l’Africa – Cuamm", la prima ong in campo sanitario riconosciuta in Italia e la più grande organizzazione italiana per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane. Nata nel 1950 per iniziativa del medico missionario, Francesco Canova, e dell’allora vescovo di Padova, mons. Girolamo Bortignon, oggi l’organismo, è presente in sette Paesi dell’Africa subsahariana, dove lavora per il diritto alla salute dei più poveri e bisognosi: mamme e bambini, malati di Hiv/Aids e turbercolosi, disabili. E sono loro, gli africani, a chiamarli 'I medici della Savana'. Ecco come don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa – Cuamm, racconta, al microfono di Francesca Sabatinelli, il significato dell’incontro con il Papa:

R. – Significa una gioia, una gioia grande, e tanta riconoscenza, perché nelle parole di Papa Francesco sentiamo espressa fino in fondo la nostra missione. Fin dall’inizio ha detto che un cristiano in particolare deve andare nelle periferie esistenziali e geografiche di questo nostro pianeta. E il nostro cuore è proprio l’Africa, il continente più povero, "l’ultimo miglio del sistema sanitario", come noi diciamo. Quella è la nostra casa, la nostra terra. Sentire così questo Papa è ovvio che riempie il cuore, perché dice quello che siamo e quello che facciamo, la nostra vita di ogni giorno. Sentirlo vicino a noi, in questo, è una gioia grande. Tanta riconoscenza.

D. – Sarete tanti, domani?

R. – Saremo tantissimi, forse troppi, ma nel senso buono del termine: siamo 8 mila e abbiamo dovuto bloccare le adesioni. Questo dice come questo Papa attrae e trascina tanta gente, tante famiglie, volontari che partono e vanno in Africa per uno, due, tre, quattro anni... Ne abbiamo tanti sul campo, in Africa. Ma così come fanno anche tanti volontari in Italia, in parrocchia, nei gruppi, nelle associazioni: mobilitano questa Chiesa che è la Chiesa feriale, operaia accanto ai più poveri.

D. – Lei ha inviato una lettera al Papa ringraziandolo per avere accolto la vostra richiesta di incontrarlo. In questa lettera, lei spiega molto bene cosa significhi lavorare in Africa. Quali sono i punti fondamentali di ciò che lei ha scritto a Francesco?

R. – Quell’ultimo miglio del sistema sanitario di cui prima parlavo. Non c’è dubbio che le fasce più povere della popolazione vivono nelle periferie dei Paesi africani dell’Africa subsahariana. Parliamo di una parola che usa il Papa, che è lo “scarto”, di una società che si sta abituando allo scarto. Io penso alle mamme e ai bambini in Africa, il cuore del nostro intervento sanitario, per garantire almeno un parto sicuro senza la paura terribile di morire dando alla luce un bambino. Per curare il neonato che nel primo mese di vita, nel 50% dei casi, la perde. E’ il “con” che caratterizza anche il nostro nome: noi siamo medici “con” l’Africa e non vogliamo essere medici “per” l’Africa, perché io ho le mie responsabilità e i nostri fratelli africani hanno la loro responsabilità. Insieme costruiamo un futuro e gestiamo un ospedale, un centro sanitario. Un’altra parola ancora che è affascinante per noi, anche se il Papa l’ha citata in un contesto diverso, è questa espressione che la Chiesa deve assomigliare a un ospedale da campo, non a una clinica per “vip”. Tante volte in Africa, specie nelle capitali, trovi le super-cliniche per gente che se lo può permettere, ma quanta gente che incontriamo ogni giorno non può pagarlo, quel servizio? Questi sono i temi forti del nostro chiedere a Papa Francesco questo incontro. Non ultimo ricordando don Luigi Mazzucato, il nostro direttore. Lui ci ha guidati per 53 anni come direttore del Cuamm, è mancato l’anno scorso e davanti al Papa vogliamo riconoscere questo testimone autentico del Vangelo.

D. – Sempre nella lettera inviata a Papa Francesco, lei sottolinea il fatto del “non possedere nulla di vostro” o “nulla che porti il vostro nome”. Avete gestito oltre 200 ospedali, nessuno è ospedale Cuamm. Avete sostenuto università e centri sanitari, ma nessuno porta il vostro nome. Lei, questo, lo definisce un orgoglio. Perché?

R. – Perché credo che questo debba essere l’atteggiamento evangelico del lievito che scompare dentro la pasta. La missione prima è quella di far crescere la pasta, scomparendo: è la logica evangelica. Tante volte non succede così, invece crediamo fortemente che l’Africa abbia bisogno di questa modalità di lavoro. Questo anche per garantire una maggiore sostenibilità, un’autonomia. Cioè: fai crescere le realtà locali perché nel giro di 10-20 anni queste realtà possano camminare da sole. Occorre far crescere la dignità e l’autonomia della popolazione africana. E’ in questo senso che diciamo con "orgoglio": profondamente umili, ma orgogliosi.

D. – Domani sarete molti in Vaticano: sarà un messaggio di vicinanza a questo continente e alle sue genti…

R. – Sì, sì. In quel continente, ci sono Paesi poverissimi. Penso al Sud Sudan che ha un’ostetrica ogni 20 mila mamme che partoriscono. Alla Sierra Leone che ha un pediatra in tutto il Paese. Una nota di vicinanza alla gente, a queste vite: questo è il primo messaggio. E il secondo, chiamiamolo così, è di garantire l’accesso alle cure per tutti. Tante, tante volte in tante situazioni questo accesso non è garantito a tante persone, specie a quelle più deboli. Ci piacerebbe poter trasformare la giornata del malato, il 13 febbraio, nella giornata per l’accesso universale alle cure. Per tutti, specie per i più poveri.








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