2016-05-11 14:49:00

Forti piogge nell'Etiopia devastata da siccità e carestia


Le piogge sono arrivate devastanti nel sud e nell’est dell’Etiopia, nella zona della Rift Valley, nelle regioni di Wolayta ed Oromia: forti precipitazioni, smottamenti e frane hanno già provocato almeno 50 vittime, in un Paese invece afflitto da decenni di siccità e carestia. Secondo l’Onu, nell’ultimo anno oltre 10 milioni di etiopi sono stati interessati dall’emergenza alimentare e se ne stimano 15 milioni per aiuti urgenti. Inoltre, la malnutrizione è in forte crescita: più di 350 mila bambini con meno di 5 anni sono stati assistiti e – avverte l’Unicef – nel 2016 diventeranno 450 mila. Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente ad Addis Abeba Pierre Vauthier, responsabile della risposta di emergenza in Etiopia per la Fao:

R. – Se ci riferiamo all’ultima valutazione, all’ultima indagine che abbiamo fatto con il governo nel mese di ottobre 2015, abbiamo 10,2 milioni di persone che richiedono assistenza alimentare. Però, la siccità è durata fino ad aprile e quindi le cifre sono più alte. A giugno-luglio faremo una seconda indagine per verificare la situazione. Forse, in questo momento la situazione è un po’ migliorata, perché le piogge sono arrivate tre-quattro settimane fa.

D. – Eppure, queste piogge sono state tanto devastanti: perché?

R. – Ci sono delle zone del Paese molto sensibili alle inondazioni. Nel sudovest dell’Etiopia con le grandi piogge la gente ha perso le case e circa un migliaio di ettari di produzione. La pioggia è arrivata molto forte.

D. – Proprio in questi giorni, parlando di Africa, il Papa ha ricordato che “troppi bambini non superano il primo mese di vita a causa della malnutrizione”: E uno dei dati più preoccupanti per l’Etiopia è che la malnutrizione è in crescita tra i più piccoli. Come la Fao sta affrontando l’emergenza?

R. – E’ vero, il problema in crescita è quello della malnutrizione, in particolare dei bambini. La soluzione è di aumentare la disponibilità alimentare per tutta la popolazione. In Etiopia, l’80% della popolazione dipende dalla produzione agricola o dall’allevamento: è dunque molto importante offrire a questa gente l’opportunità di tornare all’autonomia della produzione alimentare e quindi anche vendere i prodotti alimentarI ad altre parti della popolazione ed esportare. Per noi, la cosa vitale adesso è offrire alla popolazione la capacità di produrre per la prossima stagione, che arriverà tra un mese e nella quale si produrrà cibo per la fine dell’anno. Dobbiamo usare questa “finestra” che si è aperta adesso per distribuire il maggior numero possibile di semi alla gente.

D. – Perché finora non è stato possibile debellare la carestia?

R. – Le piogge erano molto, molto in ritardo. Finora, non c’è stata quindi la possibilità di produrre a causa della mancanza di acqua.

D. – Il fenomeno del “Niño” ha inciso?

R. – Certo. Questa siccità è dovuta direttamente al fenomeno del “Niño”, che per un anno e mezzo ha impedito alla pioggia di arrivare in Etiopia.

D. – Come ripartire dalla siccità e dalla carestia?

R. – Dobbiamo sfruttare al massimo le piogge che stanno arrivando adesso. Con esse, gli etiopi saranno in grado di produrre per il futuro e questo raccolto – magari con cicli corti, come l’ortofrutta – permetterà alla gente di vendere, in ottobre, la propria produzione e pure di consumarla.

Proprio sul fenomeno del “Niño” in Etiopia, Giada Aquilino ha intervistato l’africanista Vincenzo Giardina:

R. – La siccità in Etiopia è stata causata anche dal surriscaldamento delle acque superficiali del Pacifico, un fenomeno climatico che nasce a migliaia di chilometri di distanza, in un altro quadrante del mondo, ma che ciclicamente ogni sette anni fa sentire la propria influenza alterando i regimi climatici e colpendo, con una maggiore imprevedibilità dei cicli delle precipitazioni, Paesi già particolarmente esposti. L’Etiopia è un caso molto significativo, molto grave, ma parte in realtà di una fascia ampia che da nord a sud taglia per intero il continente africano. E in Sudafrica già alcuni mesi fa è stato accertato che si è di fronte alla siccità più grave dal 1982. Pochi giorni fa, mi è capitato di parlare con dei missionari monfortani, da decenni in Malawi: mi hanno raccontato di una situazione che hanno difficoltà a paragonare con quanto accaduto in passato. Le conseguenze del “Niño”, quindi, non si avvertono solo nel sud dell’Etiopia, ma in una regione che è molto più grande e che raggiunge praticamente Città del Capo.

D. – In particolare per l’Etiopia, quali sono le conseguenze per la popolazione?

R. – Le conseguenze per la popolazione sono molto gravi, perché è un Paese che vive di agricoltura. Testimonianze rilanciate anche da fonti di stampa cattoliche sottolineano come la morìa del bestiame abbia messo in ginocchio tantissime famiglie. Una stima citata è quella secondo la quale tra la fine del 2015 e lo scorso mese siano morti 450 mila animali, compromettendo quindi anche l’approvvigionamento di latte e generi alimentari di prima necessità. E’ chiaro, dunque, che in un Paese che dipende, nella sua stragrande maggioranza, dal settore primario le conseguenze siano particolarmente forti.

D. – I programmi dell’Onu per l’Etiopia fanno ben sperare. Con l’ondata delle ultime piogge, seppure molto devastanti, si spera che l’agricoltura possa ripartire…

R. – Quello che sta accadendo in questi mesi ci ha fatto un po’ ricordare anni lontani. A me personalmente ricorda “Live Aid”, i grandi concerti solidali – uno degli ideatori era Bob Geldof – che nel 1985, attraversando l’Europa, raccontavano della grave siccità in Etiopia. Ecco, quello che è accaduto in questi mesi ci ha rimandato indietro di molti anni, in qualche misura oscurando quel racconto dell’Etiopia come “tigre africana”, come Paese che cresce da un punto di vista del prodotto interno lordo in modo sostenuto, che si propone, anche con efficacia, come Paese di “outsourcing”, dove magari aziende cinesi e asiatiche esportano le loro produzioni approfittando del basso costo della manodopera.








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