2016-05-15 10:00:00

Carceri Brasile. P. Graziola: esperienza che svuota la persona


Il Brasile è il quarto Paese del mondo con la più alta popolazione carceraria, che negli ultimi 20 anni è aumentata del 380%. Sul sistema carcerario del Paese incombe lo spettro della privatizzazione, che prevede penitenziari efficienti dati in gestione dallo Stato, in cui i detenuti vengono trattati in condizioni disumane. Bianca Fraccalvieri ne ha parlato con padre Gianfranco Graziola, missionario della Consolata nel grande Paese sudamericano, che esprime la preoccupazione della Chiesa locale:

R. – Ci preoccupa per la questione della privatizzazione del sistema carcerario, ma in generale anche per una visione di società, perché quando si tocca la società e i pilastri di questa società, soprattutto riguardo ai programmi sociali, alle realtà sociali, e si arriva purtroppo alla prigione, si fa sì che le persone diventino non più persone, ma oggetti o soggetti di un commercio e di un sistema che esclude, scarta, e fa in modo che le persone non siano più persone. Quindi, le svuota. Il sistema carcerario ha questa caratteristica: svuotare e nascondere i problemi. Questo ci preoccupa e soprattutto in questo momento in cui abbiamo un governo che invoca Dio, la famiglia, i grandi valori, ma che di questi valori si serve solo per una questione commerciale e economica, non umana. Questo difende la pastorale: noi vogliamo la scarcerazione, vogliamo altri sistemi, altri motivi per costruire una società differente, una società di nuove relazioni.

D. – Qual è oggi la situazione nelle carceri brasiliane?

R. – La situazione è pessima, allarmante, di totale mancanza di umanità: la persona rimane marcata per tutta la vita, e quindi non c’è ritorno. Anche se la persona non tornerà in carcere, questo marchio, questo momento della sua vita, rimarrà per sempre. La mia esperienza riguarda giovani che oggi hanno una laurea, una vita, ma il momento che hanno passato in carcere – di uno, due, tre o più anni – resta sempre come qualcosa che fa sì che non riescano più a incontrarsi, come accadeva prima. Rimangono con la difficoltà di organizzare la vita, di sapersi e di sentirsi sicuri. C’è tutto questo mondo, perché il carcere svuota la persona: il grande male del carcere è quello di svuotare la persona, che non è più capace di dire: “Io sono il padrone di me stesso”, la priva della capacità di disporre della propria vita, di organizzarla, perché la sua vita è organizzata da altri. La persona è come se fosse un robot – diventa un robot – e ciò incide sulla sua vita futura. E a volte può facilmente tornare al crimine.

D. – La tortura è ancora una realtà?

R. – Sì, la tortura è una realtà. Si dice che la polizia ancora picchi, e picchi forte, soprattutto quando ci sono le retate. Ma, come Pastorale, noi diciamo che la tortura è anche un “carcere disumano”: quando c’è il sovraffollamento, quando manca il cibo di qualità e manca la salute che garantisca loro di poter vivere in questi luoghi. Perché se lo Stato imprigiona, deve garantire, secondo quanto sancito dalla Costituzione brasiliana, la vita di queste persone in carcere, e invece non lo fa. Ora sta privatizzando, vendendo: noi diciamo che sta “vendendo la disgrazia altrui a caro prezzo”.

D. – Papa Francesco è così vicino ai prigionieri: che cosa insegna alla Pastorale carceraria?

R. – Più che insegnarci, ci incoraggia, perché la Pastorale fa questo cammino da più di 30 anni. E Francesco è per noi come la ciliegina sulla torta, che ci dice: “Andate avanti, questo è il cammino della Chiesa”. È una Chiesa che è in uscita, che non ha paura di sporcarsi le mani, ma vive, ha i piedi impolverati, perché è vicina ai più dimenticati di questo mondo.

D. – E di che misericordia hanno bisogno i prigionieri brasiliani?

R. – La misericordia di qualcuno che cominci a guardarli con occhi diversi, non con gli occhi di chi li condanna, li esclude e gli dice: “Per quello che hai fatto ora devi pagare!”. No, ma con gli occhi di chi dice: “Sì, hai fatto un errore, ma c’è una possibilità”; è quel “vai e non peccare più” che Gesù dice all’adultera, a Zaccheo, ai pubblicani e a tante persone, e che dice anche oggi a noi.








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