2016-05-16 12:57:00

Filippine. Duterte: sparare ai criminali e ritorno a pena di morte


“Sparare per uccidere i sospetti criminali che faranno resistenza all’arresto”, è questo il nuovo annuncio del discusso Presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, invitando i poliziotti a usare il pugno duro contro i delinquenti. L’ex sindaco di Davao ha anche anticipato l’intenzione di chiedere al Congresso il ripristino della pena di morte abolita nel 2006. Sul fronte politico, il Capo di Stato asiatico si è detto intenzionato ad offrire la guida di alcuni ministeri a membri della guerriglia comunista con cui è in contatto. In più si preannuncia una grande offensiva militare contro gli estremisti islamici del gruppo Abu Sayyaf. Alla luce degli ultimi proclami di Duterte, Daniele Gargagliano ha chiesto al missionario nelle Filippine, Padre Sebastiano D’Ambra, se ci sono preoccupazioni nelle comunità locali e cristiane

R. – Certamente lo stile del nuovo Presidente Duterte preoccupa tanti di noi e in effetti  ha conquistato un po’ l’attenzione dei filippini che lo hanno votato, cioè - in altre parole - è il segnale che i filippini vogliono un Presidente forte. Lui ha esperienza, però viene fuori con delle affermazioni molto preoccupanti: parla ad effetto. Ad esempio, mesi fa ha usato parole contro il Papa, poi c’è stata la reazione e gli  ha chiesto scusa: ora dice che uno dei primi viaggi che farà sarà a Roma per chiedere scusa al Papa. Poi ha fatto altre affermazioni simili. È un tipo di leadership che cerca di far valere, passare dei messaggi in un modo non convenzionale. Non penso che lui avrà l’autorità di dire alla polizia di sparare perché creerebbe diversi problemi a livello giuridico. Per quanto riguarda la pena di morte è vero, lui continua dire di volerla reintrodurre. Speriamo si ritorni al buon senso perché non c‘è bisogno della pena di morte; si può trovare un modo per far osservare la legge. Probabilmente dice determinate cose per provocare una reazione del pubblico anche a livello internazionale, come  in questo caso.

D. – Anche perché sembra che la campagna elettorale l’abbia vinta proprio sull’onda dei proclami populisti …

R. - La gente vede che la città che lui ha guidato per più di 20 anni – Davao - è una città in ordine: ma che significa? Significa far pulizia non rispettando la legge. Adesso come Presidente non credo che possa continuare a portare avanti quello stile tipo 'far west'. Ho l’impressione che durante questi mesi tornerà a seguire una linea più normale.

D. - Duterte ha intimato i miliziani islamisti di Abu Sayyaf che operano nel Sud delle Filippine a liberare gli ostaggi che hanno minacciato di decapitare. I proclami all’intransigenza del Presidente possono essere controproducenti nella lotta ai terroristi?

R. - I terroristi hanno bisogno di messaggi forti. Tra l’altro, so che lui è in contatto con diversi leader; per esempio, è amico di Misuari, capo del “Moro National Liberation Front”. Quello di Abu Sayyaf è un gruppo un po’ diverso che ha il tipico aspetto del terrorismo; sono stati loro, di recente, a decapitare uno degli ostaggi canadesi.  Purtroppo il fatto è stato molto traumatico: hanno fatto vedere l’esecuzione anche su You Tube. Spero che qualcosa migliorerà circa i rapporti tra terroristi e governo, anche perché alla fine il terrorismo qui è un terrorismo strano, di cui non conosciamo i margini delle responsabilità di politici, militari  o dell’ideologia islamica.

D. - Il pugno duro promesso dal Presidente non va in contrasto con il sentimento comune che c’è nel Paese e non solo fra i cristiani?

R. - La cultura del Paese sta cambiando in diversi modi. Certamente è in contrasto con quello che è la sensibilità religiosa di questa nazione. Lui ha fatto delle dichiarazioni non molto simpatiche circa la Chiesa e alcuni leader della Chiesa; so che ha chiesto scusa. Spero che le cose migliorino però, al momento, così come sono  appaiono ancora preoccupanti.








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