2016-05-18 11:54:00

Libia: drammatico rapporto sui massacri dell'Is a Sirte


Drammatico rapporto della Ong Human Rights Watch sulla Libia. I miliziani dell’Is hanno ucciso nell’ultimo anno almeno 49 persone nella città di Sirte attraverso torture, esecuzioni e, addirittura, crocifissioni. “La natura e la dimensione delle esecuzioni – si legge nel documento – inducono a parlare di crimini contro la comunità”. Il servizio di Daniele Gargagliano:

I testimoni parlano di vere e proprie "scene dell’orrore". Il teatro dei crimini di guerra è Sirte, roccaforte del sedicente Stato islamico, dove nell’ultimo anno i miliziani hanno fucilato, decapitato e crocifisso almeno 49 persone, tra le quali oppositori politici e cittadini accusati di spionaggio. Ma quello che colpisce di più nel report internazionale, pubblicato dalla Ong Human Rights Watch, sono i metodi usati per giustiziare gli abitanti, di quella che è la città natale di Gheddafi, accusati dai giustizieri in nero di blasfemia, stregoneria e spionaggio. Numeri e storie impressionanti che vanno ad aggiungersi al mistero che ancora aleggia sulle persone rapite e mai più ritrovate. Dalla testimonianze emerge che le vittime di tortura venivano prima prelevate nel sonno e poi trasferite nelle carceri, una delle quali era una scuola.

Alla luce della denuncia dell’organizzazione umanitaria e del tavolo sulla Libia che si è aperto anche al vertice di Vienna delle scorse ore, Daniele Gargaliano ha raccolto il commento di Arturo Varvelli, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale:

R. – Mi pare che ci sia stata indecisione su che cosa fare, cioè su quale tipo di intervento compiere in Libia. Naturalmente, c’è attenzione su quanto succede a Sirte. Il problema è che la Libia è un Paese nel quale non ci sono soltanto due fronti, cioè non c’è soltanto il fronte Isis e anti-Isis, ma ci sono diversi fronti aperti. Intervenire nel Paese, cioè intervenire dall’esterno come si è fatto ad esempio in Siria e in Iraq, non ci salvaguarda dalla presenza e dall’espansione dello Stato islamico; abbiamo visto che i bombardamenti non sono la soluzione e che difficilmente si può arginare Isis dal punto di vista militare se non con truppe terrestri; ma mettere truppe terrestri occidentali in Libia non è naturalmente un’ipotesi percorribile in questo momento.

D. – Durante il vertice di Vienna, il ministro degli Esteri Gentiloni ha assicurato al suo omologo libico che l’Italia continuerà a fornire assistenza umanitaria alla popolazione, allontanando ancora l’idea di un intervento di terra …

R. – Sì, io penso che questa sia la posizione finale dell’Italia. Mi pare che si sia perso troppo tempo in ipotesi di intervento; l’ipotesi unica percorribile è quella di cercare di rafforzare il governo di  Sarraj, ridare un quadro unitario al Paese, prosciugare le aree di anarchia, anarchia nella quale prolifera lo Stato islamico. Conseguentemente, cercare di far sì che siano i libici stessi a fare fronte comune.

D. – Sul fronte interno, il governo di unità nazionale riconosciuto dall’Onu continua a stentare nella legittimazione sul territorio. Il generale Haftar ha detto di non riconoscere il Consiglio di presidenza di Tripoli …

R. – Trovare un modus vivendi con il generale Haftar. Il generale Haftar è un po’ il “deus ex machina” in Cirenaica, continua a essere sponsorizzato dall’Egitto ma anche – è inutile negarlo – da alcuni partner europei come la Francia. E quindi, sostanzialmente bisogna cercare di incentivare un accordo tra queste parti. Certamente, la coperta è corta, ma io penso che proprio la presenza dello Stato islamico debba costringere queste due entità a una qualche forma di collaborazione, seppure indiretta. La soluzione certamente non è alla portata, non è dietro l’angolo; però mi pare che il governo di Sarraj però possa vantare un’arma molto potente, che è quella di rientrare in possesso della Banca Centrale e quindi dei proventi del petrolio. Tornando in possesso dei proventi del petrolio è sostanzialmente in grado, in qualche maniera, di comprarsi una sorta di nuova legittimità. Quindi io immagino che parte delle milizie di tutta la Libia voglia prendervi parte. Poi, insieme a questo c’è da pensare a ricostruire la sicurezza nel Paese: il governo di Sarraj dev’essere messo nelle condizioni di prendere decisioni difficili e questo talvolta vuol dire anche non elargire più questa rendita indiscriminatamente, ma anche dire dei “no”, chiudere i rubinetti.

D. – Secondo l’ultimo rapporto dell’Interpol, in Libia ci sono 800 mila persone intenzionate a raggiungere le coste europee. La crisi libica non aspetta anche sul versante immigrazione …

R. – La questione umanitaria è importante: bisogna anche ricordare che c’è almeno mezzo milione di cittadini che vive in condizioni disagiate, sono sfollati libici. Quindi, a questi 800 mila che sono sostanzialmente stranieri, nel prossimo periodo potremmo trovarci anche dei libici che vogliono espatriare, e non penso tanto in Italia quanto verso l’Egitto e soprattutto verso la Tunisia, come è successo durante la guerra del 2011. Quindi, più si va avanti più la crisi aumenta, e aumenta sotto tutti i punti di vista: politico e della sicurezza, dal punto di vista economico e da quello umanitario. Io non penso che questi 800 mila possano partire domani mattina, tutti insieme; ma è anche vero che molta parte di questa popolazione trova dei saltuari impieghi in Libia per racimolare dei soldi e poi partire successivamente. Quindi dobbiamo utilizzare tutte le cautele, con questi numeri.








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