2016-05-18 15:44:00

Italia-Africa: patto strategico per sfida "epocale" dei migranti


Sostenibilità economica, socio ambientale, del fenomeno migratorio e impegno per pace e sicurezza. Sono i temi affrontati alla prima Conferenza ministeriale Italia–Africa che oggi alla Farnesina riunisce i rappresentanti di oltre 50 Paesi, con delegati di Unione Africana e Nazioni Unite. Promossi in collaborazione con l’Istituto di studi di politica internazionale (Ispi), i lavori – che d’ora in poi si terranno ogni due anni - sono stati inaugurati dal presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella. C’era per noi Giada Aquilino:

Una grande alleanza Italia–Africa perché “cause comuni” ci interpellano e sono la pace, la lotta al terrorismo e piaghe come la fame, le carestie, le malattie endemiche e la mortalità infantile. Ma prim’ancora l’emergenza migranti. Così il capo di Stato italiano Sergio Mattarella, aprendo i lavori della prima Conferenza Italia–Africa. Le crisi internazionali – ha detto – hanno reso “permeabili” le frontiere. Il fenomeno “epocale” dei migranti non richiede approcci d’urgenza ma “soluzioni durevoli”. Mattarella ha esortato a lavorare insieme per far sì che vengano meno le cause di quella “disperazione” che spinge tante persone a partire ma anche per fermare quella minaccia “incombente, insidiosa e trasversale” che è il fondamentalismo terrorista. Puntare allo “sviluppo sostenibile” dell’Africa è stato l’obiettivo ribadito dal ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, ricordando che i migranti africani giunti in Europa tra il 2010 e il 2015 sono stati 2 milioni. Al momento, ha aggiunto, “abbiamo spazio per mettere in campo una strategia prima che si verifichino situazioni di emergenza che nessuno può escludere”, chiedendo all’Europa “un impegno strategico” per un “patto con l'Africa” affinché si eviti “che la rotta del Mediterraneo centrale abbia impennate nei prossimi mesi”:

“L’Europa si è impegnata sulla rotta balcanica con un investimento economico, politico, organizzativo e logistico molto, molto rilevante. L’Italia ha condiviso questo impegno. Adesso si tratta di avere un impegno in condizioni completamente diverse: nessuno può fare un paragone tra Turchia e Libia, naturalmente stiamo parlando di mondi completamente diversi. Quindi è più complessa l’operazione da fare in Africa, ma non si tratta solo dell’utilizzo dei fondi strategici di cooperazione – quelli del vertice della Valletta – ma si tratta anche di destinare risorse a progetti mirati ai 7-8 Paesi che oggi maggiormente sono colpiti da flussi migratori e con i quali si possono ingaggiare dei progetti di cooperazione mirati al contenimento e al governo del flussi migratori”.

Da parte sua l’Africa ha portato un appello all’Italia, nelle parole di Moussa Faki Mahamat, ministro degli Esteri del Ciad:

“Le message est celui du Continent africain: c’est que nous accordons une grande importance…
Il messaggio è quello del Continente africano ed è che noi riconosciamo una grande importanza alla partnership tra Italia e Africa. L’Italia è il Paese geograficamente più vicino al Continente africano, quando noi constatiamo l’emigrazione, il numero importante di giovani che muoiono in mare o che arrivano sulle coste di Lampedusa, che per gli africani è praticamente una località ‘africana’, perché tante persone vi sbarcano ogni giorno. Si tratta di un fenomeno estremamente grave che però è motivato dalla povertà, dalla mancanza di lavoro, dalle guerre e dai traffici in corso. I giovani sono così tentati o di entrare tra i ranghi dei terroristi o di emigrare nella speranza di trovare una vita migliore. Noi auspichiamo uno sforzo comune per far fronte a tali problemi”.

Il terrorismo, è emerso ai lavori, in Africa ha ancora grandi finanziamenti. Ne parla Smail Chergui, commissario per la pace e la sicurezza dell’Unione Africana:

“Definitely, you know the relation between terrorism and criminal economy…
In definitiva, tutti conosciamo il rapporto tra terrorismo ed economia criminale: traffico di droga, traffico di armi leggere e traffico di esseri umani. Se si osserva oggi la situazione nel nord del Mali, è tutto collegato e tutti si sostengono. Quindi, se vogliamo affrontare il terrorismo, dobbiamo affrontare anche la sua economia criminale e per questo è necessario un approccio globale. Secondo me, nel Continente dobbiamo concentrarci su due situazioni: il Sahel e la Regione dei Grandi Laghi. Penso che, se affrontiamo queste due situazioni in termini più ampi, in modo “olistico”, riusciremo a mandare avanti l’agenda di sviluppo”.

L’Africa rimane comunque un Continente in crescita, nonostante le complessità interne. Ce ne parla Giovanni Carbone, responsabile del programma Africa dell’Ispi:

R. – I temi ricorrenti sono stati forse più di quanto ci si potesse aspettare: la modernizzazione dell’agricoltura e il ruolo dell’energia, temi che sono connessi a quello delle infrastrutture. Ma c’è stata – direi – una convergenza chiara su quanto cruciale sia, da un lato, l’energia in quanto pre-condizione dei processi di sviluppo dei Paesi africani; e, dall’altro, lo sviluppo dell’agricoltura: uno sviluppo interessante, perché significa che si guarda alla diversificazione dell’economia africana. Non tanto una che allontana dall’agricoltura per sviluppare manifattura e servizi, ma che deve partire dall’interno dell’agricoltura.

D. – Il presidente Mattarella ha detto che la minaccia del fondamentalismo terrorista è “incombente, insidiosa e trasversale”: perché?

R. – La nuova instabilità portata dal fondamentalismo terrorista è indubbiamente una questione cruciale nell’Africa di oggi. Il Continente, infatti, negli ultimi 15-20 anni aveva fatto progressi molto importanti in termini di stabilizzazione, con molti conflitti risolti, e molte situazioni pacificate o stabilizzate, che hanno poi contribuito a rendere possibile l’attività economica e la crescita, che in precedenza non si era vista. Purtroppo invece, negli ultimi anni, c’è stato un ritorno parziale di instabilità, di rischi politici e quindi di violenze ed insurrezioni legate in parte al fondamentalismo terrorista. Questa è evidentemente una preoccupazione, non solo perché è una tematica sia globale ma con sviluppi che ci riguardano direttamente, ma anche perché destabilizzano un’area nella quale poi è più difficile continuare a progredire in termini di sviluppo economico. 








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