“Chiudere il campo di rifugiati di Dadaab avrà, senza alcun dubbio, conseguenze non solo per centinaia di migliaia di rifugiati, ma per l’intera regione”: lo affermano i vescovi del Kenya in una dichiarazione, ripresa dall’agenzia Fides, nella quale esprimono la loro profonda contrarietà all’annuncio del governo di Nairobi di chiudere il più grande campo per rifugiati del mondo.
Il richiamo alla Costituzione ed alla Convenzione Onu sui rifugiati
Dopo aver ricordato che “per anni il Kenya è stato in prima linea nel nobile sforzo
umanitario di ospitare i rifugiati provenienti dai Paesi vicini ed oltre”, i presuli
richiamano i principi della Costituzione del Kenya, tra cui l’art. 27 che stabilisce
che lo Stato non può fare alcuna discriminazione, e gli obblighi internazionali derivanti
dalla Convenzione Onu sui rifugiati del 1951 e dal documento dell’Organizzazione per
l’Unità Africana (divenuta nel frattempo l’Unione Africana) del 1968, che “obbliga
il governo a proteggere i rifugiati durante la loro permanenza in Kenya, proibisce
ogni forma di ritorno forzato, e mantiene il carattere civile e umanitario dei campi
d’accoglienza”.
Impegno per la sicurezza per tutti, senza distinzioni
“In linea con gli obblighi nazionali e internazionali - rimarcano i presuli - così
come con gli insegnamenti cattolici, chiediamo al governo di dimostrare un sincero
impegno verso le necessità di tutti senza distinzioni, specialmente i rifugiati”.
Il governo del Kenya ha motivato la decisione di chiudere i campi d’accoglienza per
ragioni di sicurezza nazionale: una ragione che i presuli riconoscono, apprezzando
“la determinazione di rafforzare la sicurezza”, ma al contempo chiedono che ciò sia
fatto “per la cura e la protezione di tutti coloro che vivono all'interno dei confini
del Paese”.
Rispettare diritti umani e libertà fondamentali
I vescovi richiamano poi un altro articolo della Costituzione, il 228, che stabilisce:
“Si deve perseguire la sicurezza nazionale in accordo con la legge e con il massimo
rispetto delle regole legislative, democratiche, dei diritti umani e delle libertà
fondamentali”. Dopo aver riaffermato il loro impegno a collaborare con le autorità
per trovare “soluzioni sostenibili a lungo termine per i rifugiati”, la Chiesa di
Nairobì conclude la sua nota chiedendo al governo di riconsiderare la propria decisione
e di perseguire la via del dialogo per “assicurare un rimpatrio volontario e sereno
dei rifugiati” che lo desiderano. Nel frattempo si raccomanda la riattivazione del
Dipartimento per gli Affari dei Rifugiati. (L.M.)
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