2016-05-20 18:38:00

Algeria, vent'anni fa il martirio dei monaci di Tibhirine


“Ogni altro si offre a noi come un possibile compagno dell’avventura umana”. Così scriveva padre Christian De Chergé, uno dei sette monaci decapitati mentre in Algeria infuriava la guerra civile. Per la prima volta 35 delle centinaia di sue omelie sono tradotte in italiano e raccolte in un volume edito da San Paolo. Conosciuto da noi soprattutto per il ''Testamento'' e l'atto di perdono nei confronti dei suoi assassini, ci ha lasciato, insieme agli altri martiri della sua comunità, un esempio di misericordia esercitata fino alle estreme conseguenze. 

La forza di sentirsi minoranza

Cristiana Santambrogio ha tradotto i testi di De Chergé con un fervore tutto speciale considerata la lunga esperienza di vita condotta in un monastero francese dove aveva avuto la possibilità di nutrirsi abbondantemente degli spunti di meditazioni offerte da questi monaci. "Li ho sempre molto apprezzati perché hanno vissuto il Vangelo da una condizione di minoranza - spiega  e in Italia facciamo fatica a pensarci così, eppure siamo destinati a diventare una minoranza, la religione civile non starà più in piedi, e allora loro sono una testimonianza da conoscere di più". Questa donna ci racconta il modo in cui i fratelli di Tibhirine concepivano la missione: secondo il mistero della Visitazione di Maria alla cugina Elisabetta. Lì c’è uno scambio di annunci. Così hanno fatto loro incarnando veramente il dialogo interreligioso in una realtà assediata dal pericolo della violenza. "Una cosa che si dice raramente - continua Cristiana - è che De Chergé ha ricevuto una esperienza fortissima dell’amore di Dio per lui proprio da un uomo algerino e musulmano. Da giovane militare francese in Algeria, aveva infatti un amico musulmano con cui faceva lunghe passeggiate. Una volta furono insultati da un gruppo di algerini che non vedevano di buon occhio questa amicizia. L’amico prese le difese di Christian e qualche giorno dopo morì". Aveva dato la propria vita per un fratello di religione diversa. 

Una fraternità aperta e concreta

"Il modo di leggere la Parola di Dio da parte di questi monaci è molto in sintonia con quello che ci chiede Papa Francesco", sottolinea Cristiana. "C’è una enorme concretezza. Sono stati esperti di Scrittura ma uomini semplici che lavoravano la terra. L’esperienza quotidiana, i conflitti, le relazioni con le persone si incrociavano continuamente con la Bibbia. Un andirivieni inarrestabile, una corrispondenza che alle volte noi rischiamo di perdere se traduciamo la Bibbia in maniera astratta". Cosa hanno da dire queste figure a chi non è chiamato alla vita religiosa eremitica? "Che in fondo c'è un monaco dentro ciascuno di noi".

"La solitudine va immersa nella realtà", precisa a questo riguardo Natale Benazzi, editor del libro. Bisogna continuamente essere in gioco con il mondo in cui si vive. E ancora la citazione di padre Christian: “Occorrono ancora deserti per le persone spossate”. Benazzi approfondisce la peculiarità e le sfide della vita comune insistendo sull'importanza di "presentarsi di fronte all’altro come chi gli va incontro, sempre. La nostra cultura, un po’ chiusa su se stessa, ha bisogno di riscoprire questo aspetto. Siamo oggi un cristianesimo in tempo di diaspora. Siamo cristiani che tendono ad individuarsi singolarmente. Invece è necessario ritrovare una vicenda fraterna. E così come c'è un monaco in ciascuno di noi - conclude - c’è anche un monastero delle nostre relazioni che va salvaguardato e protetto".

 

 








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