2016-05-22 08:30:00

Grasso: Falcone "patrimonio morale" per tutti i magistrati


L'Italia si prepara a ricordare ancora una volta, dopo 24 anni, la strage mafiosa di Capaci del 23 maggio 1992, quando persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta: Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo. Ricorda ai nostri microfoni quella tragica giornata il presidente del Senato, Pietro Grasso. L'intervista è di Daniele Gargagliano:

R. – L’ultima volta che ho visto Giovanni Falcone è stata la mattina del 22 maggio del ’92 al Ministero della Giustizia… Eravamo d’accordo che saremmo dovuti partire insieme per Palermo, nel pomeriggio; poi, intorno alle 14.00, mi telefonò, dicendomi che non sarebbe stato più possibile, perché sua moglie doveva partecipare – l’indomani – ad una riunione per il concorso di Magistratura e che quindi avremmo dovuto rinviare. Io avevo necessità di rientrare a Palermo e quindi riuscì, all’ultimo momento, a trovare un posto su un volo di linea dell’Alitalia e rientrai quella sera a Palermo. L’indomani ebbi la notizia….E fu veramente un momento tragico, drammatico, di rabbia, di scoraggiamento, di reazione; incominciai a gridare: “Assassini! Assassini!”. Quando ebbi la notizia, corsi verso l’ospedale, perché era ancora vivo… Ma purtroppo arrivai che era già morto.

D. – Cosa le manca di più del giudice?

R. – Mi manca il fatto di essergli vicino, perché negli ultimi tempi lavoravamo insieme al Ministero; manca a tutti i magistrati l’eredità spirituale, il suo patrimonio morale. Però ha lasciato questo patrimonio morale, soprattutto quello di non abbattersi di fronte alle avversità, alle delusioni della vita e della professione e quello di non fermarsi mai davanti nella ricerca della verità. Del resto Buscetta un giorno gli aveva detto: “Signor giudice, lei forse diventerà famoso, perché io le do queste dichiarazioni e le svelo i segreti di Cosa Nostra, però guardi che Cosa Nostra non chiuderà mai il conto finché non la distruggerà o fisicamente o moralmente o non la delegittimerà!”. La risposta di Giovanni Falcone fu: “Non importa! Dopo di me ci saranno altri magistrati che continueranno…”. E così è stato.

D. – Dal 1992, quindi il periodo delle stragi, ad oggi cosa è cambiato nell’opinione pubblica siciliana e nazionale? Ma soprattutto c’è una sensibilità diversa rispetto al fenomeno mafioso e quindi alla lotta alla legalità?

R. – Certamente da allora, dopo le stragi, è cambiato veramente tutto! Nella lotta alla mafia c’era già stato un cambiamento attraverso l’opera fattiva di Falcone, di Borsellino, del pool antimafia; attraverso il maxiprocesso di cui io sono stato giudice a latere dall’86 fino all’88 e poi nel ’92, nel gennaio ’92, la sentenza divenne definitiva; dopo le stragi ancora di più la sensibilità dei cittadini nella lotta alla mafia e al fenomeno mafioso ha assunto soprattutto a Palermo, soprattutto nella Sicilia occidentale una evoluzione eccezionale: si sono creati fenomeni come “Addio pizzo”, come tutte le fondazioni antiracket, come la “Fondazione Falcone”, la “Fondazione Caponnetto”; movimenti di cittadini che – non dimentichiamolo – cominciavano a fare catene umane che univano il Palazzo di Giustizia e l’“Albero Falcone”; giovani che volevano assolutamente cambiare la nostra terra. Sotto questo profilo, ancora oggi, c’è questa maggiore sensibilità che noi cerchiamo di estendere a tutti i giovani di Italia, perché il patrimonio e i valori che impersonano sia Falcone che Borsellino sono valori eterni, che i giovani devono conoscere, devono interpretare e devono impegnarsi come loro per migliorare il nostro futuro.

D. – A proposito di legalità le chiedo: a che punto è il progetto di riforma del Codice Antimafia e quali effetti positivi può portare soprattutto in materia di sequestri di beni mafiosi?

R. – Devo dire che è già a buon punto, perché è stato approvato da un ramo del Parlamento; adesso si trova all’esame della Commissione Giustizia del Senato, sono iniziate le audizioni di parecchie persone che possono dare un contributo per migliorarlo. Ci sono dei punti per rendere più efficace e tempestivo il sequestro e la confisca, per favorire la ripresa dell’azienda e soprattutto il mantenimento dell’occupazione; delle norme che possono rendere più trasparenti la scelta degli amministratori giudiziari, così come la riorganizzazione dell’Agenzia dei beni confiscati, anche attraverso una banca dati nazionale completa.

D. – Presidente Grasso, l’attualità ci porta all’attentato al presidente del Parco di Nebrodi…

R. – Noi abbiamo sempre sostenuto, anche quando ero Procuratore nazionale antimafia, che non si sarebbe dovuta trascurare l’agromafia e cioè la mafia che viene dall’agricoltura, dai terreni e questo perché ancora oggi rappresenta un interesse preminente negli affari di Cosa Nostra: lo sfruttamento dei terreni agricoli, lo sfruttamento dei lavoratori, lo sfruttamento dei mercati attraverso l’imposizione di balzelli e lo sfruttamento di tutte quelle che sono le disponibilità e tutte quelle che sono le possibilità, anche attraverso l’intimidazione di coloro che invece dovrebbero imporre regole uguali per tutti, come nel pagamento dei canoni di locazioni dei terreni, dei pascoli… Quindi il fenomeno è conosciuto, ma spesso questi fenomeni covano sotto la cenere finché non avviene un episodio del genere che li porta all’attenzione dell’opinione pubblica. Questo è quello che è avvenuto. Non dobbiamo fermarci, non dobbiamo assolutamente abbassare l’attenzione su questi fenomeni e considerarli nella loro gravità, soprattutto quando si rivolgono violentemente verso l’incolumità di cittadini, che vogliono fare il loro dovere. Oggi c’è una tale sensibilità che tutta la Sicilia, tutta la Nazione, è stata vicina al presidente del Parco dei Nebrodi: questo è un fatto veramente importante!

D. – Ricordare figure come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, giudici che si sono impegnati in prima linea per lo Stato, può essere un messaggio distensivo anche per quei contrasti a livello istituzionale in corso nel Paese?

R. – I contrasti istituzionali sono una dialettica, che può essere benefica per far venir fuori quelli che sono i temi importanti, come appunto i temi della giustizia. Non bisogna dimenticare che il problema della celerità della giustizia, di una giustizia giusta, che arrivi in tempo - sia per chi è colpevole che per chi è innocente - è quello che più sta a cuore non solo ai magistrati, ma anche alle istituzioni, alla politica. Quindi trovare dei punti di rasserenamento, di compromesso nel senso buono, nel senso di trovare la strada per procedere insieme, per costruire un sistema di giustizia migliore. Questo è quello che auspichiamo tutti e su questa strada si sta andando.








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