2016-05-22 09:00:00

Dopo due anni riapre il Museo Etnologico in Vaticano


Un viaggio tra secoli di cultura e usanze religiose che raccontano anche dell’amicizia di popoli lontani con la Sede di Pietro. Condensa tutto questo la riapertura, dopo due anni di lavori di ristrutturazione, del Museo etnologico dei Musei Vaticani. Martedì prossimo, alle 17.30, verrà presentato il catalogo “Le Americhe”, curato da padre Nicola Mapelli, responsabile del Museo, e da Katherine Aigner. Il religioso ne parla al microfono di Rosario Tronnolone:

R. – Il Museo Etnologico è sostanzialmente “l’anima del mondo” o almeno a noi piace considerarlo così: è il luogo nel quale sono custoditi gli oggetti che da secoli, almeno dal 1691, sono stati inviati ai Pontefici. E tutti questi oggetti che sono stati donati raccontano una storia di amicizia, di dialogo. E noi vogliamo portare avanti questa storia, perché è una storia che parla delle culture e delle religioni. Abbiamo visitatori da tutto il mondo e quando vedono che, all’interno degli stessi Musei in cui sono custodite le opere di Raffaello e Michelangelo, si trova anche il dipinto di un aborigeno australiano o la statua scolpita dell’isola di Pasqua, i visitatori si emozionano perché sentono veramente che i Musei del Papa apprezzano non solamente l’arte rinascimentale di Michelangelo e Raffaello, ma quella di tutto il mondo.

D. – Parliamo adesso di questo catalogo che viene presentato il 24 maggio e che è dedicato alle opere americane che sono conservate nel Museo…

R. – Le opere custodite nel Museo sono più di 10 mila. Noi le abbiamo studiate per oltre cinque anni e ne abbiamo selezionate 200. Quindi, in questo catalogo di 400 pagine verranno presentate 200 opere dei Musei Vaticani che hanno relazione con il continente americano, dall’Alaska fino alla Terra del Fuoco, inclusa anche la nostra collezione precolombiana.

D. – Per la realizzazione del catalogo so che avete viaggiato proprio nel continente americano e quindi è stata anche l’occasione di incontrare molte persone…

R. – Esatto. La  cosa importante per noi è quello che vogliamo riassumere nella parola “riconnessione”: gli oggetti per noi non sono semplicemente delle opere d’arte, ma sono soprattutto degli “ambasciatori culturali”, tramite i quali noi ci rimettiamo in contatto con i popoli e i discendenti di coloro che li hanno donati ai Pontefici. E - personalmente - ho voluto storie molto toccanti: ad esempio, abbiamo qui nel Museo una maschera che proviene dalla Terra del Fuoco e che fu inviata al Papa quasi 100 anni fa. Abbiamo anche la foto e il nome di chi l’ha inviata tramite un missionario. Siamo riusciti a recuperare il villaggio e a trovare la figlia dell’uomo che ha donato l’oggetto. Io sono andato a trovarla e lei ha fatto un piccolo cestino di vimini intrecciati e noi nel Museo abbiamo esposto sia la maschera del padre che il cestino di vimini della figlia. Con questo, cerchiamo di far vedere che per noi il Museo è un museo vivo, che racconta la storia delle persone fino ai sentimenti più profondi.

D. – Il titolo del catalogo è “le Americhe”: mi sembra che questo plurale del titolo voglia anche in qualche modo sottolineare la pluralità delle varie etnie presenti sul continente americano...

R. – Questo catalogo cerca di mostrare la bellezza e la varietà di centinaia e centinaia di popoli e culture che si sono susseguiti nel tempo e nello spazio in questo vastissimo continente. E ognuno ha espresso la propria cultura, spiritualità, e in molti casi il proprio incontro con il cristianesimo e la propria interpretazione del cristianesimo. Per esempio, gli Inuit del Canada hanno donato a San Giovanni Paolo II un crocifisso, che abbiamo qui esposto, dove si trova simboleggiato un orso, perché per loro l’orso è l’animale onnipotente. Quindi, tramite questa raffigurazione, vogliono segnalare l’onnipotenza e la forza salvifica. Abbiamo il portamessale di Cristoforo Colombo e tante altre cose.

D. – C’è sempre, ed è un tema che ritorna in maniera quasi costante, il rapporto dell’uomo con la natura…

R. – Esatto. Le opere dei continenti americani sono fatte in larghissima parte di materiale organico, quindi realtà che derivano da vegetali e animali. Ma soprattutto questi popoli, tramite le loro espressioni artistiche, cercano di esprimere anche l’equilibrio che provano a mantenere tra loro stessi e il mondo naturale. Purtroppo, quello che abbiamo testimoniato tante volte nei nostri viaggi è il fatto che questo equilibrio venga distrutto. Abbiamo incontrato gruppi di indigeni che erano stati scacciati dalle loro terre perché, al posto delle loro case, volevano fare delle grandi piantagioni. Noi cerchiamo anche di rappresentare tutte queste storia, in modo tale da riuscire a dare voce anche agli ultimi.








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