2016-05-24 13:11:00

Parolin: da Istanbul appello a mettere l’umanità al primo posto


Si è parlato di milioni a Istanbul: milioni di persone in fuga da guerre, violenze, calamità naturali, persecuzioni, cambiamenti climatici. Sullo sfondo del Summit umanitario mondiale, però, vi è stato soprattutto il conflitto siriano, con le sue centinaia di migliaia di morti e i suoi milioni di rifugiati. L’appuntamento di questi due giorni nella città turca rischia però di passare sotto silenzio, e questo è il timore più forte delle centinaia di organizzazioni governative che vi hanno preso parte: che non si traducano in azioni concrete le dichiarazioni di intenti pronunciate dai leader politici presenti. Fiducioso che si possa arrivare a qualcosa di più delle semplici parole è il card. Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano, che al vertice di Istanbul ha guidato la delegazione della Santa Sede. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

R. – L’idea di convocare questo Summit è certamente stata un’idea positiva, proprio per le finalità che sono state assegnate all’iniziativa. E’ un’idea, quindi, da sostenere. Mi pare che i lavori, che si sono sviluppati in questi due giorni, stiano rispondendo in parte alle aspettative, soprattutto nel senso di rendere molto concreta la risposta e di non limitarsi soltanto alle parole o alle dichiarazioni, ma di tradurre tutto questo in iniziative ben precise, proprio in aiuto di coloro che soffrono. Mi ha molto impressionato, durante i lavori, come molti interventi, molte persone abbiano proprio insistito su questa concretezza, dicendo: “Non dobbiamo fare voli pindarici, ma dobbiamo dare delle risposte concrete”. Evidentemente questa sarà la sfida. Non possiamo dire adesso se ci saranno queste risposte. C’è la volontà di farlo, speriamo che si traduca… Ed è questa la sfida cui il Vertice è chiamato e che sarà anche la prova della sua efficacia, della sua validità.

D. – Punta anche a coordinare le azioni degli Stati e delle varie organizzazioni governative o non, che si occupano degli aiuti a queste persone. Questa forse è la parte anche più difficile…

R. – Certamente è la parte più difficile. Mi è parso, però, che da parte di molti ci sia questa volontà e questa intenzione: che ci sia un coordinamento, sempre in vista di questa efficacia della risposta. Naturalmente se la risposta è molto isolata e frammentata rischia di non raggiungere le persone che si trovano in situazione di difficoltà. Il fatto, quindi, di mettersi insieme, di riflettere insieme e di prendere degli orientamenti condivisi, certamente servirà a rendere molto più efficace questa risposta.

D. – Questo è stato un Vertice umanitario dove possiamo dire, forse, che la politica non è mancata, anche per i discorsi di alcuni dei relatori. Secondo lei, questo può aver danneggiato in qualche modo il senso dell’incontro?

R. – L’importante è “non buttarla in politica” - come si dice - anche se evidentemente la politica, nel senso più ampio del termine, è presente; superare anche le tensioni o le differenze che ci sono e trovarci uniti in alcune cose fondamentali. Credo che questo sia anche il senso e il richiamo del Vertice, cioè l’umanità al primo posto, al di là di quelle che sono le posizioni politiche. Il Vertice ha fatto questo sforzo, a mio parere, di andare al di là, anche se naturalmente qualcuno ha approfittato del microfono per ribadire le sue posizioni. Da parte di tanti, però, si è sentito proprio questo richiamo: andare al di là delle posizioni, delle differenze, delle contrapposizioni politiche per dare una risposta umana e solidale alle necessità di tanti uomini e donne che soffrono.

D. – Il messaggio del Papa, che lei ha letto durante la prima giornata di Summit, ha avuto un ritorno molto importante. Il Santo Padre ha usato parole molto forti e ha dato delle indicazioni precise…

R. – Sì, prima di tutto di imparare da coloro che soffrono. Io credo che questa sia la parte che più mi ha colpito del messaggio del Papa. Ha detto: “Se volete che il Vertice riesca, mettetevi dalla loro parte, imparate da loro e giudicate le cose dal loro punto di vista e con la loro sensibilità”. Mi pare che questo sia fondamentale. Poi, la centralità della persona umana. Questo è un messaggio che la Santa Sede e molte altre delegazioni hanno ribadito: la centralità della persona umana, ma della persona umana nella sua concretezza, nella sua singolarità. Quindi la persona che soffre, la persona che si trova nella necessità: il bambino, l’anziano, la mamma e così via. Ecco queste sono, quindi, indicazioni molto pratiche, che possono trovare un’applicazione concreta e un’applicazione anche politica.

D. – Qual è stato quindi l’apporto qui, al Vertice, della Santa Sede e quale sarà l’impegno futuro che la Santa Sede intende promuovere?

R. – Intanto, l’apporto è stato quello di dare un sostegno evidentemente, attraverso la presenza della nostra delegazione anche così riccamente composita, a questo Vertice. Volevamo appunto appoggiare tutti quegli aspetti positivi che questo Vertice, che questa Conferenza ha voluto esprimere. Per quanto riguarda l’impegno, lo abbiamo espresso al livello delle tre tavole rotonde, alle quali abbiamo partecipato. La prima era quella dedicata a porre fine ai conflitti attraverso la prevenzione. La seconda era quella dedicata ad osservare, rispettare le norme internazionali. Questo è   fondamentale. Credo che se davvero il Vertice riuscisse a far passare questa idea, che il diritto umanitario internazionale deve essere rispettato, sarebbe già un grande passo da parte di tutti: da parte degli attori statali e degli attori non statali. La terza era quella dell’educazione alla cultura della pace. Il mondo cattolico sta già dando risposte concrete alla situazione, alle emergenze umanitarie internazionali. Molte volte le istituzioni cattoliche, soprattutto quelle locali, sono le prime e poi, tante volte, ho sentito, restano anche le uniche a lavorare sul campo. Un pensiero, quindi, anche a tutti coloro che si impegnano e che si impegnano con molta determinazione, con molto entusiasmo. Io spero che questo Vertice e anche la presenza della Santa Sede, possa rafforzare la loro volontà di continuare a lavorare in favore di questi fratelli e sorelle.








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