2016-05-24 14:20:00

Siria. Fuggire o restare: il dramma di chi vive ad Aleppo


Più di 330 civili, tra cui 74 minori, sono morti nella città di Aleppo, in Siria, negli ultimi 30 giorni. A denunciarlo è l'Osservatorio siriano per i diritti umani. Si tratta di persone rimaste uccise sia in raid delle forze governative sia negli attacchi sferrati dai ribelli alle zone occidentali della città sotto il controllo del regime, sia ancora nel quartiere a maggioranza curda. Sabato scorso un missile lanciato dai jihadisti ha colpito anche il Collegio di Terra Santa dei francescani, uccidendo una donna e ferendone altre due. La casa ospitava una ventina di anziani. Ascoltiamo al microfono di Adriana Masotti la testimonianza del superiore del Collegio e vicario della parrocchia di Aleppo, padre Lutfi Fìras:

R. – Aleppo è la città più colpita della Siria, la più martoriata. Il nostro Collegio di Terra Santa, che accoglie tutti i cristiani di Aleppo, i bambini e i giovani, fino a pochi giorni fa, era l’unico posto in cui potevano almeno respirare aria pulita, stare tranquilli e giocare in santa pace. E invece sabato scorso siamo stati colpiti da un missile, che ha seminato il panico in tutte le persone che si trovavano qui. Questa casa ha offerto ospitalità per più di un anno a una ventina di persone anziane malate e queste persone erano già scappate da un bombardamento e da una morte imminente. Hanno bussato alla casa dei francescani e sono state accolte e ricevute con tanta tenerezza e tanto amore. Il missile è esploso e ha tolto la vita a una signora, René Saleh, ne ha ferite altre due…

D. – Voi notate anche una crescita del potenziale bellico dei jihadisti, in questo caso?

R. – Sì, prima lanciavano le cosiddette “bombole di gas”, fabbricate localmente: le lanciavano da una breve distanza, non più di 100-150 metri. E invece, con questo missile, si vede che c’è stato un salto di qualità; il messaggio che vogliono trasmetterci è che non c’è un posto dove non possono arrivare: quindi non c’è più un posto che sia sicuro al 100 per cento.

D. – In questa situazione, la gente va al lavoro?

R. – Un papà di famiglia deve andare al lavoro, perché, se non lavora, come mangia? E come può gestire la famiglia? È molto difficile andare avanti con il costo della vita altissimo: questo è stato elevato al massimo e ora mette in difficoltà anche la gestione quotidiana del mangiare, del bere e del vestirsi. Per non parlare poi del lato psicologico, dello stress e della paura. Cioè le persone sanno che, uscendo da casa, non si sa se torneranno tutti interi…

D. – I 2/3 dei cristiani che abitavano ad Aleppo hanno lasciato le loro case, e c’è il rischio veramente che la città si svuoti del tutto della presenza dei cristiani…

R. – I cristiani in Medio Oriente, in Siria, sono stati sempre all’avanguardia in tutto: nel campo intellettuale e anche in quello lavorativo. I cristiani hanno sempre dato un bellissimo contributo laddove il Signore li ha chiamati a vivere. Se le cose continuano così, purtroppo, sicuramente diventeranno una specie in estinzione. In Siria, prima del conflitto, ce n’erano quasi due milioni; adesso credo che il 60 per cento non ci sia più. E quel restante 40 per cento, se la violenza peggiorerà, sicuramente continuerà a lasciare le loro case e a scappare.

D. – Quando lei incontra una famiglia – le sarà capitato – che le annuncia l’intenzione o la decisione di lasciare il Paese, che cosa prova?

R. – Provo un’amarezza e una tristezza indescrivibili, non solo perché si svuota il Medio Oriente, ma anche perché la domanda è: dove andare? E come andare? Le ambasciate europee non rilasciano il visto ufficiale ad un siriano, che quindi deve prendere la via del mare e rischiare anche la morte. Queste persone, come è avvenuto con tante famiglie, sono state sfruttate, derubate di tutto, hanno venduto case, averi.. E questo per poter prendere una barca e, tramite la Turchia, arrivare in Grecia e quindi in Europa. Allora la domanda terrificante che ci viene rivolta con insistenza ogni giorno accanto ai razzi o ai missili è: “Padre, restare o partire?”. Ecco perché rilancio un invito alla comunità internazionale per un impegno veramente serio, a non lasciare questa gente, a non considerarla solo come numeri, ma a prendere atto, in maniera cosciente davanti a Dio, che questi sono fratelli e sorelle che soffrono. Ci auguravamo che questi incontri di pace, i negoziati, avessero almeno una visione, una proposta concreta, per mettere in pace l’animo dei siriani… Come si fa, sennò, a vivere e a rimanere, senza una ferma decisione di mettere fine a questa guerra?








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