2016-05-24 16:44:00

Rapporto su università: Italia paese con meno laureati nell'area ocse


L’Italia è il Paese con il tasso di laureati più basso di tutta l’area ocse, davanti solo la Turchia. È il dato macroscopico che viene fuori dal secondo rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca. Il report curato da AVNUR fotografa la situazione dei laureati, delle prospettive lavorative post laurea e della ricerca scientifica in Italia. I dettagli nel servizio di Daniele Gargagliano:

Luci e ombre sullo stato di salute delle università italiane. Partiamo dai punti di forza: il dato più incoraggiante è l’aumento delle immatricolazioni, in calo negli ultimi 10 anni, le iscrizioni al primo anno registrano un +1,6% nell’ultimo anno di cui il 3,4% al Nord a fronte di un +0,4% al Sud. A dare fiducia agli atenei anche il posizionamento internazionale dei risultati dei docenti ma soprattutto dei ricercatori, nonostante i tagli ai fondi per la ricerca scientifica di base e umanistica. Ma proseguendo verso le dolenti note, l’Italia è uno dei paesi che investe meno nella spesa per l’istruzione terziaria: in particolare la componente privata di questa spesa è molto più bassa rispetto ai paesi del mondo anglosassone. Inoltre di 100 studenti che si iscrivono a un corso di laurea triennale: 40 lasciano gli studi anzitempo e solo due su tre procedono sino alla magistrale. La situazione non sembra migliorare per quanto riguarda il diritto allo studio, su cui negli ultimi anni sono diminuiti i fondi nazionali che poi vengono spesi in autonomia.

Il commento del professor Daniele Checchi, membro direttivo Anvur e coordinatore del rapporto sullo stato di salute degli atenei italiani.

R. – Siamo come un motore che funziona a basso regime, nel senso che produciamo laureati, i quali però sono pochi rispetto al potenziale che potremmo produrre. Abbiamo contemporaneamente pochi docenti, e spendiamo poco nella formazione di tipo terziario. Il sistema si è assestato ad un livello di funzionamento adeguato alle risorse, e quindi al carburante che gli viene immesso. C’erano stati segnali di preoccupazione negli anni precedenti, perché le iscrizioni stavano calando; in realtà questo calo si è arrestato; sta continuando a calare il numero dei docenti. E quindi è un segnale del fatto che il finanziamento pubblico, che è la voce principale con cui vengono pagate le retribuzioni nel settore universitario, non è riuscito a invertire la tendenza. Le università stanno avendo come risorse le stesse che avevano 15 anni fa. In più, hanno compensato una parte del calo delle entrate pubbliche – circa il 5% - con l’aumento delle tasse universitarie. È chiaro che tutto questo prevede un funzionamento non particolarmente incoraggiante, se si vuole immaginare che questo sia uno dei motori di competitività del Paese.

D. – L’Italia rimane tra gli ultimi Paesi in Europa per quanto riguarda chi è in possesso di un titolo di istruzione terziaria: ovvero una laurea o un diploma di alta formazione professionale. Cosa serve per invertire questa tendenza?

R. – Noi in realtà abbiamo un quarto, cioè il 25% della popolazione per ogni fascia di età, che consegue il titolo terziario: la laurea triennale. In realtà si iscrive il 40%: c’è quindi un 15% di persone, che potenzialmente vorrebbero conseguire quel titolo di studio, che vengono perse per strada. Si possono migliorare fortemente i percorsi; meglio ancora se si possono differenziare, in modo tale da avere una formazione non di tipo accademico, ma di tipo professionalizzante.

D. – I cosiddetti “tagli orizzontali”, in che modo colpiscono il diritto allo studio di quei giovani che non hanno le stesse possibilità economiche dei loro coetanei?

R. – Noi come Paese abbiamo un meccanismo molto strano, perché c’è un fondo nazionale, che ha oscillato molto due o tre anni fa – era a 200 milioni, è sceso a 90, e adesso si è stabilizzato a 170 – che viene girato alla Regioni. Tutti gli studenti universitari pagano una quota di tasse che dovrebbero andare al governo regionale, che, insieme al contributo nazionale e ad altre eventuali risorse, finanzia il diritto allo studio. Ora, quello che accade è che le Regioni sono libere di determinare quello che vogliono: e noi abbiamo il caso di due Regioni – Piemonte e Campania – che addirittura usano per altri fini i fondi che gli studenti stessi pagano nelle tasse universitarie. Occorrerebbe riformare il sistema in modo da assicurare degli standard comuni di prestazione a tutti i cittadini italiani, indipendentemente dalla Regione dove vanno a studiare.

D. – La quota del Pil italiano dedicata alla ricerca è dell’1,27%; l’Italia è al 18.mo posto in questa particolare classifica, tra i principali Paesi Ocse. Numeri a parte, qual è il gap principale che sconta l’Italia?

R. – Nel corpo grosso, che è la ricerca di base. Questa viene tipicamente fatta all’interno delle università in quasi tutti i Paesi; e invece da noi, con il finanziamento della ricerca ormai a zero – perché il sistema italiano dipende ormai solo dai finanziamenti europei – ci troviamo in una situazione in cui abbiamo poco alimento per la filiera dell’intero processo di ricerca.

D. – Il sistema premiale: come funziona e perché serve?

R. – Il sistema premiale è un meccanismo di ripartizione del finanziamento pubblico alle università. È basato, per una parte, sul numero degli studenti, e per un’altra, sui risultati della ricerca. Siccome è stato introdotto gradualmente, c’è ancora una grossa eredità che viene dalla distribuzione del passato. La parte premiale dovrebbe essere quella che fornisce gli incentivi, affinché le università migliorino costantemente. Di fatto, è molto bassa la parte premiale ed è distribuita con dei meccanismi di tipo correttivo per evitare che alcune università perdano completamente i finanziamenti. In realtà, i fondi premiali dovrebbero essere tipicamente fondi aggiuntivi e non sostitutivi, perché, nel momento in cui sono sostitutivi, si scontrano esigenze troppo diverse. Perché un’università non può essere chiusa di punto in bianco; e quindi, se occorre continuare a finanziarla, non ha senso a quel punto limitare la componente premiale.








All the contents on this site are copyrighted ©.