2016-05-26 13:21:00

Al via il Giubileo dei diaconi: domenica la Messa con il Papa


A partire da domani diaconi di tutto il mondo parteciperanno al Giubileo a loro dedicato in occasione dell’Anno Santo della Misericordia. Domenica saranno presenti in Piazza San Pietro alla Messa presieduta da Papa Francesco. Ascoltiamo al microfono di Luca Collodi la testimonianza di un diacono, Giovanni Pennacchio, sposato, ha 4 figli, è diventato nonno e svolge il suo ministero nella parrocchia romana di Santa Galla:

R. – Quest'Anno Santo è importante per tutta la Chiesa e in particolar modo per noi diaconi: questo cammino della Misericordia io l’ho trovato fin dall’inizio. Quando fui ordinato diacono, nel 1984, mons. Brandolini – che allora era l’uomo carismatico del diaconato a Roma – ha sempre parlato della carità, della testimonianza della carità verso gli ultimi, i poveri, i malati, gli emarginati … Per cui questo Giubileo è proprio un farci prendere atto di questo cammino nella Chiesa, nel servizio, e ci dà una forza nuova perché possiamo ancora di più uscire dalle chiese perché la Chiesa sia sempre più aperta …

D. – Perché “diacono” e non “prete”?

R. – Perché la mia parrocchia ha fatto un discernimento e mi ha inviato al diaconato. Allora, qui c’è la volontà di Dio: io non volevo diventare niente, mi bastava essere buon cristiano e padre di famiglia, sposo e padre di famiglia. La Chiesa mi ha fatto iniziare questo cammino e la Chiesa mi ha confermato nella vocazione con l’ordinazione.

D. – L’annuncio del Vangelo segue poi la testimonianza per le strade …

R. – Una frase mi restò molto impressa, all’inizio della mia formazione al diaconato: il diaconato è il ministero con la più vasta gamma di ambiti di servizio. Cioè, il diacono è sempre diacono, in parrocchia, in diocesi, in casa, nel condominio, sul posto di lavoro … sempre. E, soprattutto, il tempo non è più suo perché se io esco dal mio servizio in parrocchia e incontro una persona che ha bisogno di parlare, io non guardo l’orologio, perché se io guardo l’orologio quella persona pensa che io non abbia tempo; invece, il tempo è di Dio e Dio mi dà questo tempo per testimoniare la carità.

D. – Cosa fa, un diacono?

R. – Noi mettiamo molto l’accento sull’ “essere” diacono. Io dico: chi “è” diacono fa tutto, ma chi “fa” il diacono non fa nulla. Essere diacono significa questo. E’ un uomo di comunione, innanzitutto, e l’uomo di comunione non guarda ai propri interessi, ma guarda al bene della comunità; non si schiera: è per tutti. Io ricordo una espressione bellissima di un documento dei nostri vescovi italiani che risale al 1983, il giorno di Pentecoste fu pubblicato: “Eucaristia, comunione e comunità”, e dice questo: sull’altare, Cristo si fa pane spezzato per noi perché noi diventiamo pane spezzato per il mondo. Questo è il diacono.

D. – Lei come vivrà questo Giubileo dei diaconi?

R. – Prego perché riesca bene e prego perché da questo Giubileo nasca non dico un rinnovamento, ma un rifiorire e del diaconato e delle vocazioni al diaconato; perché il Signore ci dia questa grande grazia di altre vocazioni, numerose vocazioni. Perché essere diacono è bello e la stola non pesa: la stola è un motivo di gioia ed è un motivo di gioia perché la nostra stola non si porta intorno alla vita, si porta a banda; e questo sta a indicare che il Signore ci vuole curvi sulle debolezze dell’uomo di oggi, anche sulle nostre; ci vuole curvi perché questo è il  senso del diaconato. La carità ci fa essere curvi verso gli uomini.








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