2016-05-27 13:00:00

Morte card. Capovilla, cordoglio del Papa. Il ricordo di Marco Roncalli


Papa Francesco ha espresso il suo dolore per la morte del cardinale Loris Francesco Capovilla, spentosi ieri all’età di 100 anni. In un telegramma a mons. Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, porge le sue condoglianze “all’intera comunità diocesana - di cui si sentiva ormai parte viva - alle Suore delle Poverelle di Ca’ Maitino in Sotto il Monte, che lo hanno amorevolmente assistito, ai parenti, agli amici e agli estimatori” del porporato. “Penso con affetto a questo caro fratello – scrive il Papa - che nella sua lunga e feconda esistenza ha testimoniato con gioia il Vangelo e servito docilmente la Chiesa, dapprima nella Diocesi di Venezia, poi con premuroso affetto accanto al Papa San Giovanni XXIII”, della cui memoria fu “custode e valido interprete”. Nel suo ministero episcopale, specialmente a Chieti-Vasto e a Loreto – conclude il Papa – “fu sempre pastore totalmente dedito al bene dei sacerdoti e dei fedeli tutti, nel segno di una solida fedeltà alla bussola del Concilio Vaticano II”.

Sulla figura del card. Capovilla, Fabio Colagrande ha intervistato Marco Roncalli, scrittore e giornalista, pronipote di Giovanni XXIII:

R. – Noi ci siamo visti più volte in questi giorni e di fatto don Loris si è spento piano piano: era ricoverato dagli inizi di aprile, il crollo l’ha avuto a maggio però si può dire che fino all’altro giorno annuiva, cercava di bisbigliare … Io l’ho sentito molto attaccato alla vita, in questi giorni, ed era veramente circondato da tanta gente che gli ha voluto bene, che ha vegliato continuamente questa agonia che è durata tanto perché il suo cuore era molto forte. E comunque, sono contento perché l’abbiamo sentito – non solo io: tante persone si sono alternate in questi giorni, tanti amici – l’hanno sentito proprio mandare degli inviti molto belli, degli inviti all’amore reciproco, a stare uniti, a cercare il bene: quello che è la sostanza del Vangelo cristiano, lo stesso Vangelo su cui lui poi ha scommesso tutta la sua vita e che in qualche modo è riuscito a trasmetterci come qualcosa di gioioso.

D. – Tu hai parlato di una vera e propria simbiosi tra lui e Giovanni XXIII: in che senso?

R. – Simbiosi perché … dirò una cosa che raramente ho detto e che in qualche modo mi è stata in parte suggerita da lui: ogni tanto ci dimentichiamo che don Loris aveva perso suo padre a sette anni. Io credo che in Giovanni XXIII, oltre che trovare – certamente – il Pontefice che doveva e che ha voluto servire, in qualche modo lui abbia trovato anche un padre da amare. Ecco, in questo senso c’è stata questa grande simbiosi e credo che veramente presto saranno gli storici a dirci domani se ci sono state delle influenze reciproche; ma la simbiosi è nata proprio dal fatto che lui diceva: “Io, sì, sono stato segretario particolare”, tra l’altro, come sappiamo, è un ruolo che non c’era nemmeno prima di lui; “ma – diceva - io sono stato soprattutto il suo contubernale”. Chi è il contubernale? E’ proprio quello che fa la vita con te, che spezza il pane con te, che condivide con te le sofferenze, condivide con te le gioie … Ecco, in questo senso è stato molto, molto di più di un segretario: è stato una presenza continua accanto al Pontefice che aveva già imparato di fatto a conoscere prima del Pontificato nel suo quinquennio a Venezia.

D. – Capovilla è stato anche – come tu hai scritto – il custode dell’eredità giovannea, un ruolo che è stato importantissimo per la storia successiva della Chiesa …

R. – Certo: è stato importantissimo perché se Papa Giovanni buttava per caso un foglietto nel cestino, questo veniva recuperato in qualche modo da Capovilla. Sto esagerando, ma il concetto è questo. Capovilla ha scoperto gli scritti antichi di Giovanni XXIII durante il Pontificato; gli ha chiesto il permesso di pubblicarli, ha avuto questo permesso dal Papa che gli aveva detto: “Ma solo post mortem meam”, e da allora, di fatto, in parte da sé, pubblicandoli con continue e piccole ma molto preziose pubblicazioni, poi sempre inedite, un lavoro certosino che aveva iniziato subito dopo la morte del Pontefice e che è andato avanti per decenni, ma anche offrendo questo materiale agli studiosi, confrontandosi con gli studiosi, ha guidato generazioni sia di esperti ma anche di giornalisti, ossia di persone che hanno voluto lavorare proprio per far conoscere il vero Giovanni XXIII.

D. – Tu che gli eri accanto, qual era il suo pensiero, quali erano le sue idee circa il Pontificato di Papa Francesco?

R. – Non faceva altro che parlare di Papa Francesco, negli ultimi periodi, ed era la prima volta, perché sostanzialmente parlava sempre di Papa Giovanni. Aveva imparato a parlare di Papa Giovanni e di Papa Francesco; ha fatto in tempo a farsi leggere la “Laudato si’”, ha fatto in tempo a leggere l’ultima Esortazione apostolica sulla famiglia, lo seguiva sul piccolo schermo: pur non essendosi mai incontrati, credo che l’abbia veramente sentito vicino nella quotidianità. Di fatto, nel volto stesso, nei lineamenti, nelle indicazioni che arrivano da Papa Francesco, lui ha ritrovato Giovanni XXIII e ha capito anche di aver lavorato tanto non per custodire il passato, ma proprio per indicare questo orizzonte sempre più vicino di futuro.

D. – Un uomo che è scomparso a 100 anni, lasciandoci però un’eredità di slancio verso il futuro davvero incredibile …

R. – Sì, è così: aveva un secolo sulle spalle, però aveva il cuore di un bambino. Era capacissimo di tantissime attenzioni verso le persone più semplici, verso gli umili e credo che ci siano ancora tanti aspetti che impareremo a conoscere. Era veramente una persona che sapeva rapportarsi a tutti, che non ammetteva barriere, che non voleva sentir parlare mai di crociate, che capiva di appartenere alla stessa famiglia umana.








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