2016-05-27 15:38:00

Visita storica di Obama a Hiroshima: basta armi atomiche


Vicinanza alle vittime e appello alla distruzione delle armi nucleari. Sono questi i passaggi fondamentali toccati da Barack Obama nello storico primo discorso, fatto da un presidente americano a Hiroshima. Obama ha anche incontrato una delegazione di sopravvissuti alla bomba atomica. Il servizio di Daniele Gargagliano:

Obama è arrivato al Peace Memorial Park verso le cinque del pomeriggio ora locale. E' il primo capo della Casa Bianca, in carica, a visitare il luogo dove il 6 agosto del 1945 esplose la bomba atomica. “Anche le fratture più dolorose possono essere ricomposte”, ha detto il presidente americano, che lanciato un nuovo appello per la distruzione di tutti gli armamenti nucleari nel mondo e ricordato le vittime di Hiroshima e Nagasaki, senza però chiedere scusa. Obama, nel chiudere un cerchio sulla questione del disarmo nucleare - dopo il suo primo discorso nel 2009 a Praga che gli valse il Nobel per la pace - ha riconosciuto come questo non basterebbe a garantire la cessazione delle guerre, come del resto, le sole parole non bastano a risarcire il dolore dei parenti delle vittime della bomba atomica.

Sulle parole dello storico discorso di Barack Obama il commento di Giuseppe Mammarella, professore emerito della Stanford University in California.

R. - Queste sono un po’ le ultime battute della presidenza Obama. Il presidente si è dedicato in modo particolare alla politica internazionale, soprattutto negli ultimi tempi e in particolare nelle aree più delicate per la politica estera americana: il Giappone e il del Sud Est asiatico. Quindi questo è importante, anche se quelle famose scuse di cui molti hanno parlato in passato non sono state fatte, perché l’opinione pubblica americana non è pronta a questo. Recentemente c’è stato un dibattito negli Stati Uniti – molto contenuto tutto sommato – dove sono state riconfermate, ribadite quelle che sono le ragioni americane riguardo l’uso della bomba atomica. La ragione è stanzialmente quella di avere risparmiato delle vite umane, perché una continuazione della guerra sarebbe costata molto di più in termini di vite umane. Questa visita di Obama si avvicina molto ad una scusa. Ha fatto un discorso molto aperto; ha detto: “Siamo qui per piangere centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini giapponesi”, ha abbracciato un sopravvissuto del bombardamento di Hiroshima e ha deposto una corona di fiori sul Memoriale, specificando “A suo nome”. Inoltre, ha visitato questo famoso centro “shinto”, simbolo della spiritualità giapponese, ma al tempo stesso, è anche uno dei simboli dei nazionalismi giapponesi. Ha cercato di dare una serie di compensazioni, di soddisfazioni al Paese che, invece, si aspettava una scusa per i fatti di Hiroshima e Nagasaki. Sostanzialmente, ha riconfermato quelle che sono le posizioni americane storiche e militari.

D. - Obama oggi chiude il cerchio. Il primo discorso a Praga, nel 2009, per il disarmo nucleare che gli valse il Nobel ed oggi l’appello finale della sua presidenza a Hiroshima. Cosa è cambiato sul fronte del nucleare?

R. - I risultati sono tutti da vedere. Quello che sta succedendo, per esempio, in Nord Corea, dove ogni tanto si verifica un’esplosione nucleare, dimostrerebbe che queste richieste di Obama non hanno avuto un grande successo. Anzi, proprio durante questa visita, ha fatto un riferimento a certi Paesi che assumono delle “posizioni da bulli”. Evidentemente, è un riferimento alle politiche nord-coreane e, al tempo stesso, è forse un invito a Pechino a cercare di premere sul suo alleato per evitare certe manifestazioni ed espressioni.

D. - L’incontro di oggi rafforza ancora di più i rapporti diplomatici tra Giappone e Stati Uniti. Quale lettura dare, nell’ottica degli equilibri geopolitici in Asia?

R. - Direi che questo fa un po’ parte di quella che si può ribattezzare “politica del contenimento” del dinamismo cinese della zona. Tra l’altro, alcuni mesi fa è stato anche preceduto da quel trattato di carattere commerciale – da cui la Cina è stata esclusa – che lega il Giappone agli Stati Uniti e ad una decina di Paesi dell’area. C’è un aspetto politico e militare, perché non ci dimentichiamo che la visita di Obama in Giappone è stata preceduta da una visita nel Vietnam e da un accordo per il riarmo del Paese, nel senso che alcune proibizioni che riguardavano la vendita di armi per il Vietnam sono state sospese. Il trattato prevede anche la creazione di alcune basi americane nel Vietnam. L’Australia si sta riarmando; recentemente ha comprato un certo numero di sottomarini. Il Giappone sta facendo lo stesso. Gli Stati Uniti hanno messo in cantiere  nuove portaerei e la Cina sta sviluppando missili anti-portaerei. C’è una situazione di tensione a cui l’America cerca di rispondere con la politica del contenimento, cioè creando intorno alla Cina una serie di alleanze economiche, politiche e militari in modo da mantenere una situazione di equilibrio nella zona ed indurre il colosso asiatico ad una politica meno aggressiva.

D. - Quale eredità aspetta a chi verrà dopo Obama sul tema degli armamenti nucleari?

R. - Questa politica della limitazione degli armamenti nucleari è condivisa da tutti i grandi Paesi, almeno sul piano formale, perché c’è un trattato da rispettare. Anche la prossima presidenza americana sarà legata necessariamente a questa politca. Questo dipende anche dalla volontà del presidente di attuare o di sottolineare certi impegni invece, magari, di attenuarli. Quindi è un grosso punto interrogativo.








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