2016-06-03 08:30:00

Francia, proseguono gli scioperi contro la riforma del lavoro


Non si fermano in Francia le proteste contro la riforma del lavoro, nonostante il governo abbia aperto al dialogo. Scioperi e mobilitazioni proseguono ad oltranza con il blocco dei trasporti e di altri settori ad appena una settimana dall'inizio degli Europei di calcio e mentre nel Paese imperversa il maltempo con il livello della Senna che sale pericolosamente a Parigi. La legge, in discussione in Parlamento da quasi un mese, punta alla flessibilità, ma è criticata dai sindacati per il timore di “facili licenziamenti” e per l’incremento dell’orario lavorativo. Gioia Tagliente ha intervistato Adalberto Perulli, ordinario di Diritto del Lavoro dell’Università Ca’Foscari di Venezia:

R. – Il punto fondamentale di questa legge, che doveva essere il licenziamento, è stato già fortemente ridimensionato. Si tratterà di trovare un accordo sulle nuove funzioni derogatorie della contrattazione collettiva: attraverso una nuova spinta si vorrebbe produrre una maggiore flessibilità, soprattutto in materia di orario di lavoro e quindi la possibilità di arrivare a 12 ore - attualmente non supera le 10 - in seguito ad un accordo interno all’azienda; si dovrebbe anche ridurre la remunerazione dell’orario straordinario. Quindi la partita politico-sindacale si è spostata su questo tema.

D. – Ma gli scioperi, dunque, potrebbero portare ad una svolta?

R. – Adesso è una situazione molto incerta. Non c’è attualmente una grande mobilitazione, però la situazione – dal punto di vista sociale – è molto tesa. Quindi se gli scioperi – come pare – continueranno, si troverà un accordo di compromesso.

D. – Anche il Belgio è in crisi: secondo lei, in Europa, si sta ridisegnando una necessità di trasformare il mondo del lavoro?

R. – Il Belgio - come la Francia, come l’Italia - segue un percorso che è già stato intrapreso da altri Paesi come la Spagna, come il Portogallo. Quindi diciamo che questo è un trend iniziato da alcuni anni, che ha interessato inizialmente i Paesi del Sud Europa e che si sta ora pian piano propagando anche verso i Paesi del Centro Europa, come appunto la Francia, il Belgio. Non credo che interesserà altri Paesi europei – diciamo i Paesi del Nord Europa e la Germania -  che hanno modelli sociali e sistemi di diritto del lavoro molto collaudati, molto efficienti, che poco necessitano di essere rivisti e di essere riformati radicalmente, come è invece accaduto in Italia, come è invece accaduto in Spagna, come è invece accaduto in Portogallo. Io credo che questo sia, per rispondere alla sua domanda, un trend che interessa soprattutto i Paesi del Sud e del Centro Europa, che erano in ritardo su un percorso di modernizzazione dei sistemi di diritto del lavoro; una modernizzazione richiesta da tempo – ormai da anni – soprattutto dalla Commissione Europea e dalle grandi istituzioni economiche europee internazionali e che inevitabilmente sono poi il portato di processi ancora più ampi, quali la globalizzazione, la competitività internazionale, e di un certo pensiero – e dal mio punto vista sbagliando – che ritiene che l’introduzione di maggiore flessibilità nel mercato del lavoro sia una buona ricetta per creare nuova occupazione. In realtà non è così, perché non ci sono dati empirici che dimostrino una correlazione diretta tra l’introduzione di flessibilità nel mercato del lavoro e creazione di nuova occupazione. Però questo è comunque il pensiero dominante ed è il pensiero che sta poi alla base di queste politiche sociali, che sono state condotte nei Paesi che ricordavano prima.








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