2016-06-03 13:57:00

A Parigi la conferenza sul Medio Oriente senza israeliani e palestinesi


“Una scelta coraggiosa per la pace”, è quanto chiesto dal presidente francese, Francois Hollande, in apertura della conferenza per la soluzione del conflitto israelo-palestinese. L’iniziativa che si tiene oggi a Parigi vede la partecipazione di circa 30 Paesi, ma si segnala l’assenza dei rappresentanti delle due parti in guerra tra loro, che sono state appositamente escluse per definire una posizione possibilmente univoca della comunità internazionale. Marco Guerra ne ha parlato con Giusy Regina, direttore di Arabpress.eu:

R. – La Conferenza di Parigi, in realtà, è un tentativo diplomatico abbastanza importante ai giorni d’oggi: cerca di far ripartire queste trattative di pace tra israeliani e palestinesi che, obiettivamente, dagli accordi di Oslo, sono un po’ ferme. Le critiche, però, ci sono già state, perché non ci sono rappresentanti di Israele e Palestina: l’Olp si sente un po’ esclusa e Netanyahu la vive come una minaccia, e lo aveva già anticipato, quando Hollande aveva parlato dell’idea di fare questa Conferenza, tanto che sia la stampa araba che ebraica non hanno sponsorizzato l’incontro in modo molto positivo. Lo vedono, infatti, come l’ennesimo buco nell’acqua.

D. – Parliamo, comunque, di un tentativo ambizioso di far ripartire le trattative di pace. Era da oltre dieci anni che così tanti attori non si mettevano intorno ad un tavolo. Quali sono, comunque, le aspettative che accompagnano questo incontro?

R. – Trattandosi di un incontro a cui partecipano oltre 30 Paesi, tra occidentali e arabi, le aspettative ci sono forse più da parte di questi partecipanti che non da parte delle parti in causa. Sostanzialmente, infatti, il tema israelo-palestinese alcune volte sembra essere dimenticato, a causa del sedicente Stato Islamico, degli attentati e di tutto quello che sta succedendo, ma in realtà non lo è. In generale, quindi, la risonanza internazionale è tanta, perché effettivamente è importante rilanciare questa tematica. I palestinesi, però - ripeto - sono un po’ scettici, perché non credono che possa più servire ormai un approccio del genere per risolvere la questione, e gli israeliani, Netanyahu, non vorrebbero l’ingerenza occidentale in essa. Per Israele la sicurezza è tutto. Già il fatto, quindi, che si parli di questo tema e che così tanti Paesi affrontino questo tema – addirittura senza di loro – non è benvisto da Israele. Ogni tentativo di apertura, di dialogo, però - bisogna dirlo - deve essere accolto positivamente, dandone la giusta risonanza. Hollande stesso ha aperto la Conferenza, invitando questi due popoli a fare la pace. Poi, che siano parole o meno, lo vedremo. Sicuramente è importante rilanciare un dialogo del genere.  

D. – Secondo alcune indiscrezioni della stampa israeliana, i francesi hanno pronto un documento e, poi, c’è anche un piano di Riad. Quali sono le proposte sul tavolo per risolvere questa crisi?

R. – Fondamentalmente, niente di nuovo sotto il sole. Comunque, si parla della soluzione “due popoli, due Stati”. Tutte le soluzioni sono incentrate su questo: sulle indiscrezioni del giornale Haaretz, del documento stilato dai francesi di tre pagine. In realtà, del contenuto non si sa molto. Sicuramente hanno posto alcune deadline. Per esempio, entro la metà del 2017 si vorrebbe arrivare ad un incontro, ad una serie di incontri bilaterali israelo-palestinesi. Insomma, sono state poste una serie di date simboliche, anche per darsi dei limiti. E poi, si parlava già, nel prossimo autunno, della preparazione di un’altra conferenza internazionale, questa volta con israeliani e palestinesi.

D. – Al momento, quindi, quali sono i principali ostacoli al raggiungimento di un accordo di pace?

R. – Fondamentalmente, gli ostacoli principali sono che Israele e Palestina restano bloccati su alcuni punti – storicamente – che sono sempre gli stessi. I palestinesi vogliono la soluzione “due popoli, due Stati”, che con tutta franchezza è difficile da raggiungere, perché Israele, da quando è nato, nel 1948, ha come base fondamentale per esistere la sicurezza. Israele, per come è nato, per la storia che ha, obiettivamente è difficile che permetta la creazione di un qualsivoglia Stato palestinese accanto ai suoi confini, a meno che non sia uno Stato smilitarizzato completamente, che possa controllare, non voglio dire al cento per cento, ma che in qualche modo lo controlli. Sia israeliani che palestinesi devono scendere a tanti compromessi, non perché la soluzione “due popoli, due Stati” sia impraticabile. Obiettivamente i palestinesi, infatti, devono cedere sulla smilitarizzazione del loro Stato e gli israeliani devono cedere al fatto di non volere assolutamente uno Stato palestinese accanto. Se non scendono a compromessi, penso che nessuna soluzione in realtà sia praticabile.








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