2016-06-03 12:30:00

Comunali Torino: aumenta la povertà del ceto medio


Anche Torino si prepara alle elezioni di domenica. Sono 40 i comuni della provincia torinese che andranno alle urne per rinnovare le amministrazioni. Pierluigi Dovis, direttore della Caritas di Torino, al microfono di Valentina Onori, ha parlato dei problemi della città e delle trasformazioni sociali e industriali che hanno coinvolto famiglie e intere fasce sociali:

D. – 50 anni fa Mirafiori era la seconda fabbrica di automobili d’Europa. Ora si ha un processo inverso, anche se Torino è la seconda città più innovativa d’Europa per banda larga, digitale e sviluppo sostenibile. C’è questa doppia tendenza…

R. – E’ possibile, ripartendo dalla questione della grande industria automobilistica, in modo particolare, trovare nuove forme di innovazione economica e sociale, che possano di nuovo mettere Torino alla ribalta, forse non tanto della produzione quanto della capacitazione per altre aree territoriali, a partire dall’esperienza che è stata maturata in tutti questi anni. Siamo in un momento di innovazione e abbiamo bisogno di avere una classe politica che sia capace di incentivarla, aiutando i giovani a diventare imprenditori di se stessi. Quindi non politiche assistenzialistiche ma di sviluppo, che poggino molto sulla capacità innovativa dei giovani, su professionalità nuove, che richiede un lavoro sinergico molto più forte tra le varie forze istituzionali, politiche, sociali, economiche. In questi dieci anni circa di crisi, la nostra città ha visto quasi raddoppiare il numero delle persone in difficoltà nelle varie fasce di povertà, con una crescita molto forte della povertà nuova o della cosiddetta povertà “grigia”, che ha portato in situazioni di deprivazione, non solo economica, una fascia di popolazione che era quasi la fascia media, dando il via a dei processi di frammentazione sociale che ha portato, in alcuni momenti, ad avere la sensazione di avere quasi due città: una che riesce a stare a galla e un’altra che invece è finita decisamente sotto. Il cammino futuro è integrare al meglio le due città, ma soprattutto fare in modo di cambiare il metodo di approccio alle forme di povertà, ridiventando quello che Torino è stata una trentina di anni fa, quando è stata all’avanguardia della nuova modalità di vivere i servizi per l’inclusione sociale che ha fatto scuola in buona parte d’Italia.

D. – Quali sono questi approcci?

R. – Puntano molto di più sul coltivare le resilienze che le persone hanno avuto; maggiore attenzione ad una formazione e qualificazione professionale, non solo per i giovani, ma anche per le persone più avanti con l’età. Quindi non accompagnarli alla ricerca di un lavoro, quanto accompagnarli all’iniziativa di un lavoro e ad un approccio che sia capace di tenere insieme i due estremi delle povertà della nostra città: la povertà gravissima, che ha bisogno di assistenza, e le nuove forme di povertà.

D. – Questa nuova forma di povertà riguarda il ceto medio. Voi, come Caritas, che cosa fate?

R. – La nostra città, l’anno scorso, ha avuto 4700 sfratti, molti di questi per motivi di morosità incolpevole. Gli approcci sono stati quelli di mettere la mamma con i bimbi in una comunità mamma-bambino e il papà da qualche altra parte oppure di lasciarlo dormire in macchina. Una frantumazione che rendeva ancora più insostenibile la situazione che già stavano vivendo queste famiglie. Il nostro intervento è volto a fare in modo che le nostre famiglie possano rimanere insieme, grazie ad un’interazione molto forte tra il privato e il pubblico e tra le varie forme di privato. La soluzione a questi problemi è cambiare le relazioni tra gli operatori che si danno da fare per questo tipo di problematicità.

D. – La politica in che modo può aiutare?

R. – Nella misura in cui non fa come gli struzzi, che mettono la testa sotto la sabbia, non avendo paura di confrontarsi con queste situazioni. Se la città vive questa situazione non è per colpa della politica o degli imprenditori o di chissà chi: è un dato di fatto, chiamiamolo con il proprio nome, e poi proviamo a lavorarci insieme. La politica deve dare le condizioni perché i territori, le persone, i corpi intermedi, abbiano la possibilità di svolgere quella creatività che hanno di natura, diminuendo gli aspetti di burocratizzazione, creando occasioni per mettere insieme le risorse, dando una governance leggera, ma presente, che aiuti tutti a camminare verso pochi obiettivi comuni, che siano davvero ben chiari. La politica deve avere il coraggio di fare delle scelte, perché le minori risorse economiche siano orientate ad alcune priorità che riguardano lo sviluppo integrale, anzitutto delle persone, poi dei territori ed infine della città in quanto tale. 

 








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