2016-06-10 13:47:00

Iraq-Siria: a due anni dall'inizio del "genocidio" dei cristiani


A due anni dalla conquista di Mosul da parte del sedicente Stato Islamico, sono continue le violenze dei jihadisti contro le minoranze religiose. In Siria e e in Iraq, quello che sta accadendo ai cristiani è un genocidio, ha infatti affermato questa mattina il card. Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Una richiesta, quella di riconoscere come “genocidio” le violenze dell’Is, che la fondazione di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che soffre” rivolge alle istituzioni italiane, seguendo quanto già fatto dal Parlamento europeo e dal Congresso degli Stati Uniti, come spiega Alessandro Monteduro, direttore di Acs Italia, al microfono di Michele Raviart:

R. – In Siria e in Iraq, in questo momento, si sta applicando un piano assolutamente coordinato, ben specifico e definito, di azioni, che mira a distruggere specifici gruppi religiosi. Qui non parliamo solo di persecuzione o della distruzione del cristianesimo, laddove il cristianesimo è nato; qui parliamo di più gruppi religiosi: innanzitutto, per esempio, degli yazidi. Dichiarare “genocidio” quello che sta avvenendo oggi in Iraq, ci consente di poter attivare delle tutele maggiori: innanzitutto, il Tribunale Penale Internazionale.

D. – Sono due anni che il sedicente Stato islamico ha preso la città di Mosul: qual è la situazione sia per chi è fuggito sia per chi è rimasto?

R. – Nella notte tra il 9 e il 10 giugno, decine di migliaia di cristiani, soprattutto, lasciavano Mosul, trovandosi dinanzi ad un’alternativa: violare la propria fede, rinnegare la propria identità e confessione religiosa, oppure rischiare l’assassinio. Oggi, descrivere qual è la situazione di Mosul è difficile per chiunque: per i governi occidentali, le forze militari, le organizzazioni internazionali di carità; perché Mosul è sotto il pieno controllo degli uomini del Califfato islamico. Quello che accade realmente è impossibile a sapersi: sappiamo, tuttavia, che continuano a perpetrarsi massacri di ogni tipo.

D. – L’ultima violenza di cui si ha notizia a Mosul è quella di una donna musulmana che, proprio in queste ore, è stata lapidata. Ribadiamo quello che ha detto anche il Patriarca dei Caldei, Raphaël Louis Sako, che non è una guerra islamo-cristiana, ma una lotta per il potere, il denaro, perpetrata in nome della religione…

R. – Sono assolutamente d’accordo. I cristiani sono il gruppo religioso maggiormente perseguitato in quell’area, perché dopo quella musulmana sono la comunità più numerosa. Ma quello che sta avvenendo ai danni della comunità yazida è ancora più feroce e atroce. Tocca adesso alle istituzioni internazionali. Sono passati due anni; con la sola eccezione di qualche presenza delle Nazioni Unite, non abbiamo trovato una – e sottolineo una – sola traccia dei governi dell’Occidente. Abbiamo trovato solo la meravigliosa generosità delle organizzazioni di carità, e importanti segnali della Conferenza episcopale italiana, ma non la presenza dei governi occidentali. Adesso, dopo due anni, qualcuno si dovrà pur destare in tal senso.

D. – Cambiamo scenario: la Siria. Sembra che in queste ore siano arrivate le autorizzazioni per nuovi aiuti umanitari alle città assediate. Voi che informazioni avete, come “Aiuto alla Chiesa che Soffre”, sulla situazione umanitaria in Siria?

R. – Abbiamo le medesime informazioni, con la precisazione tuttavia che queste autorizzazioni del governo di Assad – queste disponibilità o approvazioni – non significano che domani mattina si potrà già giungere alla distribuzione di aiuti umanitari. È necessaria una serie di azioni da porre in campo: attraversare un posto di blocco in Siria in questo momento non è come andare a fare una passeggiata fuori porta. Sembrerebbero esserci questi segnali positivi; siamo in attesa che si possa partire con la terza tornata dei negoziati, anche se tuttavia la cosa non sembra abbastanza imminente. Sappiamo – e questo è un dato indiscutibile – che i bombardamenti proseguono, innanzitutto ad Aleppo.








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