2016-06-10 11:54:00

Istat: in calo i residenti italiani, il primo negli ultimi 90 anni


Sono poco più di 60 milioni e 600 mila i residenti in Italia, di cui più di 5 milioni di cittadinanza straniera. Lo comunica l’Istat, che rileva come nel corso del 2015 si sia registrata una diminuzione del numero dei residenti italiani, la prima negli ultimi 90 anni. Tra i fattori che hanno inciso sulla crescita della mortalità tra gli anziani l’aumento delle temperature nei mesi estivi. Gioia Tagliente ha intervistato il demografo Alessandro Rosina, docente di demografia e statistica all'Università Cattolica di Milano:

R. – La popolazione italiana è da tempo in diminuzione all’interno dei residenti, mentre i flussi migratori sono comunque positivi e quindi la popolazione straniera, in Italia, continua ad alimentarsi. Come effetto della crisi la popolazione italiana ha avuto una riduzione rispetto agli anni precedenti, in particolare come conseguenza del calo della natalità; inoltre c’è stata anche una riduzione dei flussi di migrazione dall’estero e quindi la presenza straniera è cresciuta di meno.

D. – Secondo Draghi, integrare i migranti può aiutare il calo demografico..

R. – Senza immigrazione la popolazione italiana sarebbe già da tempo in diminuzione e avrebbe una struttura demografica veramente insostenibile, con una piramide praticamente invertita: con tanti anziani, pochi giovani e quindi con difficoltà sia di alimentare la crescita economica, soprattutto in alcuni settori produttivi, sia di avere una sostenibilità sociale. L’immigrazione è, per forza di cose, necessaria. Certo, però, serve una immigrazione integrata, perché una immigrazione che crea disuguaglianze, può creare instabilità sociale e quindi non solo non aiuterebbe il Paese a crescere, ma inasprirebbe anche gli aspetti di convivenza sociale. Dobbiamo pensare ad una immigrazione che sia il meglio integrata possibile: quindi favorire flussi di entrata di immigrati che siano in grado di venire in Italia per inserirsi positivamente nel tessuto sociale ed economico. Al di là di una accoglienza dei profughi, serve anche una capacità di attrazione di popolazione qualificata e giovane, che venga inclusa nel nostro sistema produttivo. E poi, comunque, chiunque arrivi deve poi trovare politiche adeguate, che consentano di entrare in maniera stabile nel mercato del lavoro e quindi che non ci sia sfruttamento, che ci sia una regolarizzazione della propria presenza, che ci sia possibilità di formare una propria famiglia e che ci sia possibilità per i loro figli di trovare piena integrazione all’interno delle scuole italiane. La strada non può che essere questa.

D. – I dati confermano che l’Italia non è un Paese per giovani: perché?

R. – Non è un Paese per giovani per due motivi. Il primo, perché non sta investendo quantitativamente sulle nuove generazioni: abbiamo sempre meno nascite e siamo in presenza di un fenomeno di “de-giovanimento quantitativo” e quindi di riduzione di giovani come presenza nella popolazione della società italiana. Siamo uno dei Paesi in Europa con meno under 30 sul totale della popolazione. E questa è la conseguenza anche di carenza di politiche per la famiglia e di politiche anche a contrasto della povertà delle famiglie con figli e quindi della conseguente povertà dell’infanzia. E qui c’è l’altro aspetto: non solo quello quantitativo, ma anche qualitativo. I bambini italiani, soprattutto in famiglie che vanno oltre il secondo figlio, per carenze appunto di politiche adeguate, si trovano con rischi maggiori di condizioni di deprivazione. Anche quando crescono si trovano con investimenti come generazioni, come giovani generazioni più basse rispetto agli altri Paesi, sia in termini di politiche di sostegno all’autonomia rispetto alla famiglia di origine; di accesso ad una casa; di politiche attive che li inseriscano in maniera adeguata all’interno del mercato del lavoro; di aziende che valorizzino poi i giovani, assumendoli con remunerazioni adeguate e investendo sulla loro crescita e sulla loro formazione all’interno dell’azienda. Investiamo di meno in formazione, soprattutto terziaria e in ricerca, sviluppo e innovazione, che sono gli ambiti in cui le nuove generazioni, la loro capacità e la loro voglia id intraprendenza può al meglio diventare elemento propulsivo del sistema sociale ed economico del Paese. Su tutti gli aspetti che riguardano le nuove generazioni noi investiamo di meno rispetto agli altri Paesi e la conseguenza è che i giovani devono fare riferimento di più e dipendere di più dalla famiglia di origine.








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