2016-06-11 16:09:00

Giubileo dei malati, l'incontro con Dio dona senso al dolore


Una malattia improvvisa, devastante, inaspettata. E poi quella domanda: perché il dolore? Perché Dio permette tutto questo? Lui ora, in questo buio nero dell’anima, dov’è?  

“E’ bene far emergere queste domande, ci aiutano a comprendere meglio, a metabolizzare le difficoltà– riflette il prof. Giuseppe Cinà, emerito di teologia al Camillianum di Roma-. Sono interrogativi che da sempre albergano nel cuore dell’Uomo. L’Antico Testamento è costellato di domande sulle condizioni del dolore. Basta leggere il Libro di Giobbe o il Salterio: quante volte emerge questo dubbio: Dio, dove sei?  Nel Nuovo testamento, poi, colpisce profondamente osservare che la domanda sul perché del dolore è attribuita essenzialmente a Gesù sulla Croce. E’ solo Gesù che fa risuonare di nuovo il  grande perché: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?  E’ l’ultima parola che Gesù dice. Fa riflettere quanto questo perché dell’Uomo sia diventato il perché del Figlio dell’Uomo. Quell’interrogativo ora risuona all’interno del Dio trinitario”.

Ma se la domanda è semplice, naturale, la risposta è criptica, misteriosa. Talvolta indecifrabile. “Le persone che sono intorno al malato- suggerisce il prof. Massimo Petrini, docente al Camillianum di pastorale sanitaria- dovrebbero tentare di trasformarsi nelle mani di Dio, cioè far leggere attraverso i loro comportamenti l’amore di Dio. In questo modo possono offrire al paziente un’occasione di riflessione sulla propria situazione alla luce della Parola di Dio”.

Un cammino certamente lungo, faticoso, difficile. “Non c’è dubbio- incalza ancora Petrini- Però sono convinto che solo l’incontro con la Parola possa arrivare a dare un senso al dolore, alla malattia. Un senso soprannaturale a qualcosa di umanamente incomprensibile ed inaccettabile. In fondo, l’obiettivo della pastorale sanitaria è proprio questo”.








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