2016-06-11 14:03:00

Violenza sulle donne: il governo stanzia 12 milioni di euro


Donne ancora vittime di omicidio in Italia. Dopo l’assassinio di Sara Di Pietrantonio, bruciata a Roma nella sua auto, due donne in pochi giorni hanno perso la vita: una a Pordenone, uccisa con quattro colpi di pistola dal suo ex-fidanzato, l’altra ieri, una cittadina slovena gettata in una discarica in provincia di Trieste. Per affrontare la situazione, il ministro con delega alla Pari opportunità, Maria Elena Boschi, ha annunciato lo stanziamento di 12 milioni di euro per la prevenzione  lae sensibilizzazione. Sulla necessità di ulteriore tutele, anche giuridiche, verso le donne che subiscono violenze, Michele Raviart ha intervistato Anna Costanza Baldry, psicologa e criminologa, da 25 anni impegnata sul tema:

R. – Le tutele giuridiche ci sono. Noi, tutto sommato, abbiamo, dal punto di vista del Codice penale, della procedura penale, una volta che accadono i fatti, gli strumenti. Quello che manca però, dal momento in cui l’azione viene denunciata da parte della vittima, è la tempestività. Pensi, per esempio, a quei casi di omicidio che sono seguiti a precedenti violenze. Il problema, quindi, non è tanto la legge scritta – se c’è o non c’è – è la sua tempestività nell’applicazione.  

D. – Perché ci sono dei rischi per le donne che chiedono aiuto?

R. – Il momento in cui la vittima chiede aiuto, al centro antiviolenza, alle forze dell’ordine, non significa aver concluso poi un percorso. Ed è questo il motivo per cui, molto spesso, non lo proseguono, perché sanno, temono, dopo la denuncia, di essere esposte a un pericolo maggiore, poiché dall’altra parte si ha a che fare con uomini che spesso, di fronte ad una richiesta di aiuto, vogliono ancor più mettere in atto strategie, azioni, volte ad annullare la persona che sta chiedendo aiuto, per ristabilire ancora di più non solo il controllo, ma l’isolamento.

D. – Quello che è stato fatto finora in Italia per tutelare le donne dalle violenze è sufficiente?

R. – Ciò che è stato fatto in Italia è necessario, ma non sufficiente. Una legge da sola non cambia la cultura di secoli. Prova ne è che, se noi guardiamo agli ultimi quindici anni, l’andamento delle donne uccise in Italia è lo stesso. Si parla quindi di un centinaio – un anno sono 90, un anno sono 120 – di donne uccise all’interno di relazioni intime, a fronte invece di una diminuzione – questo già negli anni ’70, ’80, ’90 – degli omicidi in generale. Quello che manca è una azione sistematica, che coinvolga tutti, istituzioni e non, di contrasto alla violenza.

D. – Sarebbe utile l’istituzione di nuovi reati, come già è stato fatto per esempio con lo stalking?

R. – Non è il deterrente penale ciò che farà la differenza, perché molti di questi si suicidano o si costituiscono. Dobbiamo capire che gli uomini, quando arrivano ad uccidere, hanno rotto ogni argine dell’umanità, dell’empatia, della civiltà e non sarà un “guarda, ti fai quattro anni in più” a fargli dire: “Sai cosa? Non uccido!” Non pensiamo che sia un’emergenza. Un’emergenza può portare a farcene parlare, però poi ci deve essere un impegno anche politico, di investimento e di prevenzione. Sapete quanto costa la violenza? E’ stata stimata in milioni. Sapete quanto incide sul prodotto interno lordo?

D.- E’, quindi, giusto parlare di femminicidio?

R. – E’ bene parlare di femminicidio, perché rileva quella che è la matrice di questi reati, cioè il fatto che siano donne uccise per il loro genere, ritenute meno di una bestia, per certi aspetti. Tra l’altro, il nostro codice penale già prevede che se ad essere uccisa è una persona appartenente al nucleo familiare ci sia l’aggravante. Quello che c’è da dire è che non bisogna introdurre nuove norme, ma che bisogna interpretare non con troppa discrezionalità o con schemi mentali, proprio quelli che sono gli elementi, perché si rischia – e così è, avendo io fatto la disanima di 500 casi di donne uccise – che le pene erogate a fronte di casi simili siano diverse.








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